Due giorni fa, per caso come spesso accade per i nuovi incontri, ho conosciuto qui a Cali Antonello Zappadu, fotografo sardo uscito alla ribalta qualche anno fa quando fotografò (e pubblicò su alcuni quotidiani europei) il nano putrido di Arcore mentre gozzovigliava con amici e con un altro primo ministro europeo (Topolanek) con alcune prostitute nella villa di Certosa nella mia bella Sardegna. Da quel giorno lì c’ha Ghedini attaccato al collo che non lo molla mai, e anche per questo vive qui in Colombia.
Fra un processo e l’altro, si occupa anche di “folklore” locale, come un’inchiesta che ha condotto personalmente negli ultimi 5 anni sul traffico internazionale di droga e sul viaggio che fa un grammo di cocaina dal Putumayo (non quei bei cd di world music, ma una delle zone colombiane dove si coltiva la coca – ci sono stato un anno fa, un giorno ne parlerò qui) fino al naso dei milanesi. Ha da poco pubblicato un libro su questo suo lavoro.
Fra le varie interviste e sopralluoghi fatti per la sua inchiesta, un giorno gli capita di parlare con qualcuno ben informato (pare un ufficiale o ex-ufficiale dell’esercito) che gli illustra ciò che spesso accade nella zona fra le venezuelane isole di Los Roques e la penisola colombiana della Guajira.
E’ già risaputo che la cocaina prima di entrare negli Usa…. continua a leggere qui >>
(Brevi) cenni storici sul Nicaragua, a cura di travelbaila.it
Le fortune di molti paesi sono molto spesso le loro disgrazie più grandi. Vedasi il petrolio per l’Iraq, le risorse minerarie per molti paesi africani e… quelle naturali per il povero Nicaragua. E quali sono queste risorse?
Il gioiello del Nicaragua sono le sue acque interne. E’ attraversata infatti orizzontalmente dal fiume San Juan, navigabile dal mar dei Caraibi fino al lago di Nicaragua, enorme bacino acquifero che arriva fino a meno di 20 km in linea d’aria dall’oceano Pacifico. Sarebbe bastato tagliare quel pezzo di terra (tratto più corto di quello che si è poi tagliato a Panama) per creare quello che poi gli Stati Uniti hanno creato alcune centinaia di chilometri più a sud, e cioè un canale di congiunzione fra i due oceani, utilissimo per le navigazioni commerciali.
Quando quest’idea venne in mente ad uno dei diversi dittatori succedutisi in Nicaragua, agli inizi del 20° secolo, gli USA avevano già avviato il loro progetto a Panama e non gradirono l’iniziativa nicaraguense. Basti pensare che oggi le imbarcazioni, per poter attraversare il canale di Panama (fino a solo 9 anni fa di proprietà statunitense, ora invece finalmente di Panama) pagano una media di 30000 dollari per barca, con punte di oltre 300.000 $ per le grosse navi – container. Insomma, tanti soldi in ballo, motivo sempre più che sufficiente per alcuni governi per iniziare nuove guerre.
Prima incoraggiando e armando l’opposizione conservatrice interna, poi intervenendo direttamente con i marines nonché installando governi “fantoccio”, l’intervento americano non si concluse con il conseguimento dei diritti a vita sulla costruzione del canale in Nicaragua (che non volevano costruire, ma volevano che nessun altro lo facesse). Ormai il controllo del territorio gli faceva troppo comodo, per cui la CIA continuò a supportare i vari dittatori che si susseguirono (compresi i tre famigerati Somoza, padre + figlio + figlio). In compenso usarono il Nicaragua come base sia per gli attacchi al governo del Guatemala, sia per la (fallita) invasione di Cuba del 1961.
La “perla” finale del nefasto intervento americano in Nicaragua avvenne per merito di Ronald Reagan, negli anni ’80 il quale, dopo solo un paio di anni da quando i rivoluzionari di sinistra (i “sandinisti”, nome derivato da Augusto Sandino, importante rivoluzionario Nicaraguense) erano riusciti a sconfiggere l’ultimo dittatore e salire al meritato governo del paese, creò e finanziò uno spietato corpo militare di ex-soldati delle precedenti dittature e mercenari vari denominati “contras”. Le loro basi si trovavano nei 2 paesi confinanti, sempre sotto loro influenza: Costarica e Honduras.
La tremenda guerra fratricida che ne seguì finì solo nel 1989, sia per la vittoria militare dei sandinisti, sia per la scoperta dei fondi segreti (scandalo Irangate) che la CIA inviava ai contras, provenienti dalla vendita di armi all’Iran (oggi invece “paese canaglia”).
Sembrano storie vecchie e noiose (che qui peraltro ho molto sintetizzato) però sono sempre di estrema attualità. Un esempio (fra i tanti)?
(Da Wikipedia)
John Negroponte fu l’ambasciatore Usa in Honduras, proprio in quegli anni. Secondo non solo i suoi oppositori, ma anche importanti giornali come il New York Times, “condusse la strategia occulta dell’amministrazione Reagan per sconfiggere il governo sandinista in Nicaragua” (Ronald Reagan aveva il timore di un paese comunista in America Centrale). Durante il suo incarico le violazioni dei diritti umani in Honduras divennero sistematiche.
Per esempio fu il supervisore della costruzione di alcune basi di addestramento dei contras (addestramento da parte della CIA), basi dove in seguito alcuni scavi portarono al ritrovamento di centinaia di cadaveri, appartenenti non solo agli oppositori qui incarcerati e torturati ma anche a missionari americani. Poi fu anche l’organizzatore della strategia del terrore e degli spietati squadroni della morte controrivoluzionari.
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Una “chicca” recente.
John Dimitri Negroponte, secondo alcune teorie, è stato esplicitamente indicato come mandante dell’assassinio di Nicola Calipari, funzionario italiano del Sismi, in Iraq.
L’elenco delle sue malefatte sarebbe lungo, ma nonostante tutto John Dimitri Negroponte non è sparito dalla circolazione, né tantomeno è mai stato processato, anzi…. dove sarà mai finito???
Durante il governo di George W Bush, ricoprirà gli incarichi di ambasciatore USA presso l’ONU, poi ambasciatore USA in Iraq… (e, guarda caso, anche qui le torture non sono mancate – applicò infatti la stessa “opzione Salvador”, il metodo da lui usato in centro America), …e, infine, addirittura numero due del Dipartimento di Stato, vice di Condoleeza Rice (quindi fino a pochi mesi fa).
Conclusione
Fra i diversi dittatori susseguitisi in Nicaragua nell’ultimo secolo, la guerra civile, alcuni governi corrotti, il pesante zampino di altri paesi e un devastante terremoto nel 1972, il risultato è che oggi è il paese più povero dell’America centrale.
Molto diverso dal confinante Costarica che, non avendo avuto nessuna guerra importante ed essendo stato lasciato libero di utilizzare le sue risorse naturali, è diventato oggi il paese più benestante (sempre fra i grandi paesi) del centro America.
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John Negroponte (il dentino nero è un omaggio personale :-D)
L’accesso ad internet è possibile ormai in gran parte delle città cubane. In teoria è consentito anche ai cubani, nella pratica invece è quasi impossibile per loro utilizzarlo visto il suo costo molto alto (6 CUC l’ora – poco più di 6 dollari, o 4,5 euro). E vista l’assenza, in tutta l’isola, della banda larga, la connessione è estremamente lenta per cui in un’ora si riesce a fare ben poco.
Se però quasi dappertutto non ho avuto problemi a reperire gli uffici pubblici dove ci son le postazioni, all’Avana questo è risultato particolarmente problematico: o gli uffici erano chiusi, o c’erano guasti, o avevano finito i codici di accesso, o c’era assemblea, ecc. E gli uffici privati (negli hotel più lussuosi) avevano costi troppo alti (9-12 CUC l’ora).
Un giorno vado così al centro internet dell’Avana Vecchia, il centro storico della capitale, che trovo però chiuso momentaneamente per non so cosa. Di fronte c’è un piccolo mercato popolare di cibi e bevande, per cubani (la differenza con quelli per turisti è evidente), ed entro per bere qualcosa di fresco. Mi fermo così (tanto per cambiare) a parlare con una cameriera. Lavora qui a giorni alterni, 12 ore al giorno. Stipendio mensile: poco più di 100 pesos cubani (4,5 dollari, 3 euro!).
– “Un turista con due bevande che compra in questo bar a fianco spende quanto io guadagno in un mese”, mi dice.
Che le posso dire, io, “ricco” turista privilegiato? Nulla…
Mi fa vedere le sue scarpe, con la suola in gran parte staccata, e mi racconta un po’ di lei.
Poco dopo riapre l’ufficio internet, e mi sposto lì. Entro, passo un’ora, pago i 6 CUC di tariffa (cioè uno stipendio e mezzo di quella ragazza) ed esco.
Ritorno al mercato da quella ragazza e mi fermo a pranzare: una coscia di pollo fritta, banane fritte e una tropi-cola (la coca-cola cubana). Per la prima volta da quando sono all’Avana mi viene voglia di lasciare la mancia dopo il pasto, e provo a lasciarle 2 CUC. Lei però non li accetta, mi dice che si vergogna.
GULP!! Rimango sorpreso, questo non me l’aspettavo né mi era mai successo prima in tutto il mese a Cuba! Lei i miei soldi non li vuole!!
Inutile, quando penso di aver capito qualcosa, poco dopo capita qualcos’altro che mi fa capire che così non è…
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Le cameriere che guadagnano 3 euro al mese (più una loro amica)
La società cubana ormai rappresenta un caso praticamente unico al mondo, per cui ci sono alcuni aspetti che meritano una spiegazione a parte.
Credo di non aver chiacchierato con la gente, in un paese straniero, così tanto come questo mese passato a Cuba. Ogni giorno mi capitava con proprietari di case particular, tassisti, decine di nuove conoscenze quotidiane per la strada, alcuni stranieri stabilmente residenti, vicini di tavolo nel ristorante, i fastidiosi jineteros (i trafficoni già descritti negli altri post), ecc.
Il fatto di essere da solo, di dormire in case particular e quindi a contatto con famiglie (anziché in hotel), di spostarmi solo con mezzi pubblici, di non essermi mai isolato in spiagge o isolette (rimanendo quindi sempre in centri popolati) mi permetteva infatti di avere contatti con le persone molto facilmente e per tutto il tempo che volevo (non c’era nessuno che mi richiamava: andiamo qui, andiamo lì… 🙂 ).
Rimanendo a Cuba 35 giorni, e contando i tanti incontri quotidiani, potrei dire di aver sentito il parere forse di oltre un centinaio di cubani, di diversi generi ed età.
Bene, di tutta questa gente posso contare sulle dita di una mano chi era contento della propria condizione e del proprio paese/governo/sistema (un minatore cinquantenne di Holguin e un proprietario di casa particular all’Avana, benestante).
Mi è capitato di parlare anche con alcuni 75-80 enni che avevano vissuto la precedente dittatura di Batista, i quali mi dissero che, nonostante la dittatura e la miseria, secondo loro la gente “media” stava meglio prima, cioè chi aveva almeno un minimo lavoro; stava meglio di oggi. Ok, questi anziani son stati solo 3, per cui la base è piccola, però è stato per me anche quello un parere importante.
Tutto questo mi ha dato, e mi da ancora oggi, tanto da pensare; non riesco a trovare un pensiero finale, una conclusione. Ci son troppe contraddizioni e aspetti quasi incomprensibili. Avendo visitato altri paesi latino-americani, i successi della ricetta cubana a me risultavano evidenti, ma ai suoi cittadini no. Mi trovavo regolarmente a discutere con persone e a prendere spesso io le difese del loro sistema (anche per… addolcirgli un po’ la pillola) mentre loro lo criticavano duramente. Gli parlavo dei loro paesi vicini, della diffusa miseria estrema che a Cuba non esiste, della tremenda …. continua a leggere qui >>
La prima settimana cubana, passata a Santiago, la seconda città del paese situata a Sud (o ad Oriente, come chiamano qui tutta la parte meridionale dell’isola) mi lascia una sensazione amara che, alla fine della permanenza a Cuba, solo in parte si attenuerà.
Camminando per strada, con una riconoscibile faccia da turista, si è soggetti ad un continuo assalto di trafficoni di ogni tipo, tutti che recitano lo stesso identico copione iniziale:
– “Holà amigo, de que pais?” (Di dove sei?)
– “Italia”
– “Oh, Italia, che bello! E Italia di dove?”
– “Sardegna, una isola”
– “Ah, Sicilia, la mafia”
– “No, Sardegna, un’altra isola”
Poi un’altra manciata di domande:
– “Prima volta a Cuba?”
– “Ti piace Cuba?”
– “Che lavoro fai in Italia?”
– “………”
Finché, dopo un tempo variabile da pochi secondi a qualche minuto (a seconda dell’attenzione che gli si dedica), si arriva al dunque, il vero motivo dell’approccio: vendere qualcosa o spillare in qualsiasi modo qualche C.U.C. (moneta cubana “pregiata”).
Se son ragazzi, provano a vendere sigari (tutti, secondo loro, rubati dalla cugina che lavora in una fabbrica dello Stato, ma che poi quasi sempre sono fatti in casa, molto bene, ma… con foglie di banano!) o indirizzi di alloggi per dormire o ristoranti privati o tour turistici o taxi o marijuana o prostitute o banconote da 3 pesos con la faccia di Che Guevara (false) o chiedere i soldi per una bibita o per un “trago de ron” (bicchierino di rum) o per le sigarette o per il latte per il figlio o per il loro compleanno che è proprio oggi o “compagnia” alle turiste donne o cento altre scuse o, infine, solo soldi, senza scuse.
Se son ragazze, invece, sempre dopo la solita serie di domande iniziali, l’oggetto in vendita è il proprio corpo, a volte camuffato da vaghi “innamoramenti a prima vista”, oppure la bibita, sigarette, latte per la figlia, ecc di cui sopra.
Ok, dopo breve tempo li si riconosce subito e ci si comporta di conseguenza (pur se con il passar dei giorni con sempre meno sopportazione), ma il maggior fastidio era rappresentato da quelli che, anche se per breve tempo, inizialmente apparivano come semplici e normali incontri amichevoli, come capita in tanti altri paesi.
Un esempio.
Dopo tante serate, a Santiago, nell’ottima “Casa De La Trova”, dove ho assistito a splendidi concerti di gruppi musicali cubani (in genere “setteti”, 7 musicisti) con pubblico però costituito al 90% da turisti stranieri, una sera sono andato nella periferia della città dove c’era la molto meno battuta “Casa De Las Tradiciones”, piccola, senza insegne esterne, povera.
Entro. Pubblico pagante: 1. Io. Più tardi arriveranno altri 4 o 5 cubani, e solo un altro turista.
Mi siedo comodamente in prima fila in una sedia a dondolo, e inizia il concerto quasi privato. Salsa, son, cha cha, ottima musica, ottimi musicisti, zero turisti, birra ghiacciata in mano. Si può stare meglio?
E qui scatta il mio “errore” …. continua a leggere qui >>
Voglio segnalare un video che sta girando su internet, che espone il punto di vista sul Tibet della stragrande maggioranza (non molto lontano dal 100% credo – tibetani esclusi) dei cinesi. Mi è stato inviato qualche giorno fa su facebook da una mia amica cinese di Hong Kong, città che, nonostante la buona libertà di informazione che ha, le vere notizie sul Tibet non vengono tanto divulgate, credo non per limiti all’informazione ma perchè la popolazione, sentendosi cinese (anche se “a singhiozzo”), sembra non gradire questo argomento.
Quando ho provato a parlarne con alcune persone, proprio lì ad Hong Kong, il più delle volte i toni si accendevano subito (da parte loro) e sentivo fastidio per le nostre “intromissioni” occidentali.
Il video c’è anche su youtube, ed è questo (è in inglese) ….
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Dopo aver visto il video (fra l’altro anche molto volgare e astioso) ho subito replicato alla mia amica il mio parere, provando a farle capire meglio il “nostro” punto di vista e di come l’informazione sul Tibet che si riceve ad Hong Kong, per non parlare di quella che c’è nella “mainland” Cina, non sia completa.
Nelle mie repliche citavo proprio il felice esempio di Hong Kong, da solo 10 anni parte integrante della Cina però con ampie autonomie di governo locale, stampa, economia, moneta.
Perchè il Tibet non potrebbe, pur rimanendo dentro lo stato cinese, diventare autonomo come Hong Kong?
Stesso paese, regole e autonomie diverse, libertà su tanti aspetti anche della vita sociale, oltre che religiosa (davanti al mio hotel c’era una moschea) e culturale. E poi ho citato la dura repressione in Tibet, i presunti miglioramenti effettuati dal governo cinese (il famoso treno???!), le povere condizioni di vita dei suoi abitanti, l’esempio molto simile della vicina Birmania nella quale son stato, il parere unanime di ormai gran parte del mondo sui diritti umani in Tibet (e in Cina), il fatto che citare gli errori dei nostri paesi occidentali non sminuisce le colpe del governo cinese, e poi piazza Tienanmen…. bla bla bla. Le ho esposto la mia versione su quei “6 punti” citati nel video, senza astio e sapendo di toccare il famigerato orgoglio nazionale, che tanti danni fa e non solo in Cina. Per questo le ho anche elencato tutti gli aspetti della cultura cinese e del suo grande paese che mi affascinano tanto.
Se lei che è molto intelligente, di ottima cultura e ragionevole come gran parte dei cinesi di Hong Kong, alla fine, pur con tanti distinguo, ha convenuto che forse doveva informarsi meglio sul Tibet (dicendomi però anche a me di fare lo stesso sulla Cina in generale), con altri cinesi di Hong Kong non sono arrivato allo stesso risultato e, se si oltrepassa il confine fra Hong Kong e la vera Cina (c’è un confine vero e proprio, e l’afflusso dei “veri” cinesi viene limitato, esattamente il contrario di quello che accade in Tibet, dove viene incentivato), la cosa diventa praticamente impossibile.
Ho letto tanto sul Tibet ultimamente, ma uno degli interventi più azzeccati, a parer mio, è quello che ho letto sul sito di PeaceReporter, sito che periodicamente consulto per la oggettiva obiettività di vedute su tanti problemi del mondo, spesso infatti non in sintonia con le versioni che leggiamo sui media più diffusi.
Chi ha interesse a leggerlo, l’articolo è questo…
www peacereporter net/dettaglio_articolo.php?idart=10756 (Link non più funzionante, pare abbiano rifatto il sito e i vecchi post sono irragiugibili… peccato – Disattivo il link…)
Fra l’altro, è di oggi la notizia che in Cina si stanno propagando sempre più le manifestazioni anti-occidentali, diametralmente opposte a quelle occidentali contro la Cina.