6. Il (misero) business delle lattine
Un po’ in tutto il Brasile le lattine di alluminio vengono raccolte, dalla strada e dai bidoni della mondezza, da bambini, ragazzi, uomini, donne, anziani, insomma un po’ da tutti; tant’è che quando per strada non si trova un bidone dove buttare la nostra lattina vuota, si può tranquillamente buttare a terra senza sentirsi dei maleducati, tanto verrà poi raccolta da qualcuno.
Questa raccolta di lattine raggiunge la sua più alta intensità a Salvador, dove spesso addirittura mi si avvicinava qualcuno che raccoglieva lattine e mi chiedeva se avevo finito di bere la mia birra, e se non avevo finito mi incitava a fare gli ultimi sorsi!
Una volta ho fatto un test: in una notte di carnevale, durante una pausa fra un “bloco” e l’altro, sono andato al centro della strada e ho lasciato cadere per terra una lattina vuota. Come si è sentito il “clonk” della lattina che toccava l’asfalto ho avviato il cronometro dell’orologio e ho aspettato. 10 secondi esatti e la lattina era sparita! Un ragazzino è arrivato di corsa a prenderla, veloce quasi quanto un cambio di gomme di formula 1!
Incuriosito da questa frenesia, un giorno ho intervistato un “raccoglitore”. C’era infatti una cosa che non capivo: venivano raccolte solo quelle di birra, mai quelle delle altre bibite (coca cola, fanta, etc). Mi spiegò che il materiale era diverso, e mi disse anche altri dati: ogni 78 lattine raccolte si raggiungeva 1 kg che veniva poi retribuito con 26 centavos. Quindi ogni 4 kg (312 lattine) si guadagnava la bellezza di 1 real! Con 1 real (=39 centesimi di euro) in Brasile si può comprare 1 pastel (fagotto fritto con carne o formaggio) o una lattina di bibita analcolica, con 4 real si può consumare un pasto. Insomma per riempire la pancia con la raccolta delle lattine bisogna raccoglierne almeno 1250!
Non gli passa più…
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7. Le treccine
Una cosa accomuna quasi tutte le “gringhe” (il significato ormai l’ho scritto tante volte, vediamo se lo ricordate) che vanno in Brasile, e a Bahia in particolare: sentono l’impellente esigenza di riempirsi la testa di treccine.
Ora qui scrivo un consiglio a tutte le gringhe che hanno in programma di andare in Brasile:
NON FATEVI FARE LE TRECCINE!
Il più delle volte stanno veramente male alle bianche turiste, e chi vi dice che state bene è solo il vostro partner (o chi vuole diventarlo al più presto!) che però mente spudoratamente sapendo di mentire.
Le treccine stanno bene solo a chi vive in questi posti. A Bahia infatti le donne hanno in prevalenza capelli crespi (quindi con molto volume, e le trecce glielo riducono), viso rotondo, naso piccolo. Con le trecce stanno stupendamente, in particolare le bambine. Alle turiste invece il ridurre drasticamente il volume dei capelli mette in risalto la testa più spigolosa di noi “caucasici” e il naso più grande!
Credetemi, meglio niente!
😉
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8. L’ignoranza
Questo purtroppo è uno dei problemi più gravi in Brasile. Le cifre dicono che il 57% dei brasiliani finisce le scuole equivalenti alle nostre elementari, e solo il 37% le medie. E quei pochi anni di scuola che fanno son di qualità molto bassa, anzi pessima. Se si pensa che ben il 50% degli insegnanti (non universitari) ha studiato solo fino alla 3^ media (percentuale che raggiunge il 90% nel povero Maranhao) e che lo stipendio degli insegnanti è uno dei più bassi di tutte le categorie, si capisce come la qualità non può essere sufficiente.
Perché scrivo tutto ciò? Che gliene frega ad un turista?
Succede che, quando si parla con un brasiliano medio, molti discorsi sono dei veri e propri tabù. Non ci si capisce. Se si esce dai soliti quattro argomenti basilari della vita di tutti i giorni, ci si scontra con un muro. Per esempio, uno dei miei argomenti preferiti di conversazione, i viaggi, era assolutamente impraticabile. Le geografia era, forse, la materia più sconosciuta.
Un giorno una ragazza, con in mano una cartina del solo Maranhao (neanche tutto il Brasile), mi ha chiesto di indicargli dove era la mia città. Un’altra volta un’altra ragazza mi ha fatto la stessa domanda mentre guardava la cartina del Brasile. Altre volte mi hanno chiesto quante ore di autobus ci avevo messo per arrivare dell’Italia in Brasile, e cosi via. Almeno a giorni alterni mi capitava di sentire assurdità simili, da persone diverse. Di conseguenza anche quando mi chiedevano qualcosa sul mio viaggio, come facevo a spiegare che stavo facendo il giro del mondo? Mondo? What’s mondo? Niente, dicevo sempre che dopo il Brasile rientravo in Italia.
Ma problemi simili si riscontravano anche con tanti altri argomenti, quindi alla fine la molto limitata cultura generale è stato uno degli elementi negativi che mi lascia il Brasile, fra tanti altri positivi. Perché la limitata cultura limita anche la cosiddetta “elasticità mentale”, la capacità di comprendere qualcosa che non si conosce. Venendo io da un luogo sensibilmente diverso, capitava di parlare di qualcosa per loro nuovo, ma spesso non si veniva capiti, e bisognava cambiare argomento.
Un esempio. Una volta una ragazza stava facendo un compito di inglese e doveva tradurre alcune frasi. Finché c‘erano parole che conosceva a memoria (poche) è andata avanti. Quando arrivò alla parola “importance” che varia solo di una sillaba dal portoghese “importancia” si blocca e non va avanti. Non riesce ad elaborare una soluzione probabile.
Questo è un semplice esempio, però qualsiasi argomento per loro nuovo difficilmente veniva almeno in parte capito. Allo stesso modo, se quando si parla non si pronuncia perfettamente il portoghese, non si viene capiti. Se in una frase anche solo di quattro parole ce n’è una sbagliata, niente. Bisogna riprovare fino a quando non si azzeccano tutte e quattro, e nell’ordine giusto. Come Mistermind!
Un giorno, ad una fermata del bus in un paesino imprecisato del Maranhao, mentre facevo un veloce spuntino scambiai qualche parola con una vicina di tavolo. Parlando delle lingue straniere, ad un certo punto mi disse:”Il problema del non capirsi non son le lingue diverse ma il fatto che le stesse cose hanno nomi diversi. Per esempio, come si chiama in italiano questa? (Indicando una salvietta)”. “Salvietta”, dico io. E lei:”Ecco, vedi, in Brasile si chiama guardanapo!”. Ehm… rimango un attimo senza parole, poi faccio finta di niente. Dopo questa perla di saggezza, cosa potevo rispondere?
E pensare che, se le scuole elementari, medie e superiori sono pessime, le università brasiliane sono buone, e anche gratuite. Il problema è che per accedervi bisogna superare un esame iniziale che chi ha frequentato le scuole statali difficilmente supera, mentre ci riesce solo chi ha frequentato le ottime scuole private. Quindi l’istruzione, la cultura e di conseguenza i lavori migliori e meglio pagati, in Brasile di fatto sono riservati a chi è di famiglia ricca. Chi nasce povero, magari in una favela, è già condannato da bambino a rimanere povero, ignorante e a fare lavori umili.
Così è la vita nel paese del samba.
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9. Il lavoro
Gran parte dei lavori non specializzati (operaio, commesso, call center, etc) in Brasile sono pagati con il cosiddetto “salario minimo”, stabilito dal Governo. Ora ammonta a 350 R$ (130 €) che a stento permette di arrivare a fine mese. Non si muore di fame, ma non ci si può permettere molto. Di buono c’è che se anche uno lavora poche ore al giorno, meno di quel tanto non può prendere. Ho conosciuto una ragazza che lavorava in un call center, a giorni alterni per 4 ore al giorno, e prendeva lo stesso salario minimo di chi lavorava in un negozio 8 ore al giorno per 6 giorni. Quindi quando si lavora, anche se poco, si deve sempre poter mangiare tutti i giorni. Per legge. Così ha deciso il governo.
E così, anche qui, hanno dovuto inventare il lavoro nero, cioè talvolta il datore di lavoro non assicura il lavoratore per non dovergli pagare il salario minimo.
Tutto il mondo è paese.
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10. Le informazioni
Anche in Brasile ho riscontrato una caratteristica tipica dei latini, che già avevo scoperto in Venezuela, e cioè che sembra quasi un disonore non saper rispondere ad una richiesta di informazioni, tanto che se non si sa la risposta… la si inventa!
I primi giorni, a Curitiba, per sapere dove si trovava una via ho dovuto fare la media su quattro risposte avute. Le prime tre mi indicavano tre direzioni diverse, e quando la quarta era uguale alla prima sono andato da quella parte. Allo stesso modo a Salvador un giorno mi hanno fatto camminare su e giù in quelle ripide vie per trovare l’unico centro telefonico del Pelourigno. Alla quarta richiesta l’ho trovato.
Quindi, consiglio: se siete in America latina, non fidatevi mai di una sola indicazione ricevuta. Chiedete almeno a 3 o 4 persone diverse. E’ ammirevole la loro voglia di esservi d’aiuto, ma spesso è assolutamente inutile!
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…. continua (e finisce) fra 2 giorni.
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pedro grandissima analisi
hai elencato tutti gli aspetti che hanno colpito anche me.
Per dirti: una volta la mia amica Aline di Rio che voleva convincermi di trovare lavoro come insegnate di italiano e mentre tentavo di spiegarlo che è una strada poco praticabile vista la quantità di italiani e la scarsità di domanda, ha concluso la conversazione dicendomi: entao, va a catar latina na rua
era una battuta, ma sai bene purtroppo cosa comporta per chi lo fa
ignoranza: la cosa che mi ha dato più fastidio. Io ho avuto in 4 mesi solo un paio di amici maschi perchè il brasiliano medio è mulherego e basta. Conversazioni normali zero.
Non parliamo dell informazioni sbagloiate..
–> CLAUDIO:
Non ho capito la prima parte del tuo post.
Per la seconda, devo dire che le donne non son da meno degli uomini nelle conversazioni. Insomma, soliti discorsi abbastanza semplici.
Ciao ciao!
si però almeno con le donne le conversazioni posso essere interessanti in altre maniere 🙂
la prima parte: va a catar latinas na rua credo sia un poo’ l’equivalente dell’espressione milanese va a ciapà i ratt
più chiaro? probabilmente più scuro 🙂
–> CLAUDIO:
Punto 1: indubbiamente!!!
Punto 2: hai ragione, piu’ scuro anche con il milanese, in effetti questa espressione brasiliana non l’ho mai sentita, pero’ forse ci arrivo a capirla.
Ciao