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Giu42007

MANAUS, e il sogno perduto

A Manaus scelgo un tranquillo hotel anziché rituffarmi nel trambusto di un ostello. Ogni tanto in viaggio ci vuole anche un momento di ritiro e riposo per ricaricarsi un po’ e sistemare alcune cosette, come per esempio gli ormai due mesi di ritardo nel riportare su carta (e web) i ricordi di viaggio.

Manaus è la città sudamericana più sfruttata per quanto riguarda le escursioni nella foresta, e per questo motivo ad ogni angolo di strada c’è qualcuno che propone “escursioni selvagge nella giungla” o “escursioni fuori dalle piste battute, dove gli altri non vanno”, incontri con indios e caimani, bla bla bla. Per lo più, visto l’alto numero di turisti che arriva qui per la foresta amazzonica, sono ormai escursioni troppo commerciali, da foto con il serpente nel collo (ebbene, una l’ho fatta anch’io!) o il grande pappagallo in mano. E per di più sono molto care. Io conservo i miei ricordi della escursione fatta tre anni fa nella foresta amazzonica del Venezuela, da solo con un indio per tre giorni nel suo piccolo villaggio, ed evito così questi poco allettanti tours. E risparmio. 😀
Mi concedo solo una visita di mezza giornata in una zona qui vicina, dove avviene l’incontro delle acque di due grandi fiumi: il Rio Negro (con acqua nera e calda) ed il Rio Solimoes (con acqua bianca – che poi è marroncina chiara – e più fredda). Per qualche chilometro i due fiumi scorrono paralleli e le acque non si mischiano, trasformando così il Rio Delle Amazzoni in un Rio Juventino (però non ruba acqua a nessuno). Poco dopo (siamo in barca) ci abbordano 3 o 4 canoe di ragazzini indios, ognuno con in mano un diverso animale della foresta da fotografare. Si, lo so, non bisogna incentivare questo tipo di molestie agli animali, però c’era un bradipo (che in portoghese viene chiamato “pigrizia”! :-)) con il viso così simpatico che non mi son trattenuto dal prenderlo in braccio per un po’. Con quelle sue 3 unghione, pur non appuntite, si ancorava dappertutto (braccialetto, cinghietta di orologio, spigoli della macchina fotografica). E così anche con un’anaconda, più inquieta del tranquillone bradipo, che si poteva prendere in mano solo tenendogli la bocca ben chiusa.

anaconda

In hotel una mattina mi perdo a far scendere l’acqua dal lavandino, ma il vortice che si forma non gira come dovrebbe. Mumble, mumble, siamo ora sotto l’equatore e dovrebbe girare in senso orario, ma qui gira un po’ come gli pare, in entrambi i sensi. Neanche lui rispetta le regole! Segue una ricerca su Wikipedia (la più grande miniera di cultura gratuita!) e risolvo il problema di oggi (bè, se in viaggio non ci son problemi importanti, qualcuno bisogna crearselo). Come al solito quello sentito in Tv era una vera e propria leggenda metropolitana. In una puntata di “Turisti per caso”, con Patrizio e Syusy, avevano fatto vedere che, spostandosi anche solo di un metro dalla linea dell’equatore, il senso del vortice cambiava. Balle! Vicino all’equatore la forza del cosiddetto “principio di Coriolis” è quasi nulla, quindi il vortice viene influenzato da altri fattori come la forma del lavandino o il movimento iniziale dell’acqua. Ecco, quindi potete anche non sprecare acqua quando sarete in giro nei pressi dell’equatore. Caso felicemente risolto, mi ricompenso con un bel Guaranà de Amazonas, sempre ottimo (la ricetta la sapete già).

A Manaus altre visite interessanti sono state quelle al Museo della Scienza di Manaus (bello e introvabile, più introvabile che bello perché, dopo che gli autisti di 3 autobus mi lasciano in 3 posti diversi, rinuncio alla sua visita), Palacio Rio Negro (chiuso 3 volte su 3 che ci sono andato – ci rinuncio), Museo Do Homen Do Norte (chiuso per restauri dal 2001!), Museo Do Indio (ok, finalmente) e il bel Parque Da Ciencia, con all’interno anche una discreta fauna amazzonica (l’enorme pesce bue, caimani, tartarughe, roditori, etc.).

caimani

Ma la visita più interessante è stata la visita alla casa di Nazarè! Ricordate la ragazza del precedente post? Dopo l’incontro nel traghetto, per tanti giorni ci pensavo continuamente. I suoi racconti della vita nella foresta e il suo attuale inserimento nella giungla cittadina mi avevano impressionato ed incuriosito tanto. Dopo vari tentativi per telefono falliti (vive ora praticamente segregata in casa, non può uscire) riesco a combinare un appuntamento a casa sua, anche se avrei voluto tanto uscire in giro con lei piuttosto che stare chiuso in casa. Ricordate il film “Crocodile Dundee”? Era la storia di un uomo che aveva vissuto sempre nella giungla e poi di colpo veniva portato nel centro di Manhattan. Ecco, la storia di Nazarè, anche se non così estrema, è molto simile, e sarei curiosissimo di vedere le sue reazioni girando per Manaus. Ma non mi do per vinto e, dopo un paio di giorni di chiacchiere in casa, riesco a convincerla ad una “fuga” nascosta in città. Nascosta perché ora sta vivendo e lavorando a casa di una cugina che vive in un lontano sobborgo periferico di Manaus, la quale le ha proibito di uscire perché, dice lei, la città è pericolosa e lei non conosce nulla. In parte ha ragione, ma così sicuramente è esagerato.

Arriva il fatidico giorno, 1 maggio. Possiamo uscire solo di giorno, quando la cugina è al lavoro. Dopo un’ora di autobus sono quasi arrivato a casa sua. Telefono per la conferma e invece di lei mi risponde il marito della cugina! E quindi chiudo subito. Accidenti, mi accorgo solo ora che anche qui il 1° maggio è festa nazionale, e nessuno lavora. Ecco il perché di quei cortei in centro. Grunt grunt, tutto annullato.
Secondo tentativo, 2 maggio. Oggi va!
Arrivo, è già pronta. Si è vestita bene, ha un elegante vestito nero e scarpe alte (ma se dobbiamo camminare in centro?). Ma è molto nervosa, non sa cosa c’è lì fuori. Non è mai uscita da quella casa, ha solo intravisto qualcosa dal finestrino dell’auto che il primo giorno l’ha portata lì.
Usciamo, prendiamo un autobus. Ora quasi trema, ha le mani sudate. Gli autobus cittadini brasiliani, così come quelli extraurbani, hanno solo due velocità: fermo o avanti veloce. Non ci sono vie intermedie. Solo che in città con tutti gli stop, fossi, semafori, curve e traffico, l’autobus balla continuamente da una parte all’altra. Peggio di andare a cavallo. Ed è, mi dice, la prima volta che sale in un autobus. Quando era nel suo villaggio a volte andava a far rifornimenti di viveri in un paese più grande, ma sempre con un auto di un vicino, mai usato mezzi più grandi.
Scendiamo nella “zona franca”, il centro di Manaus, dove ci sono centinaia di negozi uno a fianco all’altro, con migliaia di persone per strada. Nazarè rimane impressionata dalla quantità di gente, abituata com’è al suo paesino di 20 case, per di più molto distanti fra loro. Ma quando passiamo in una via con tanti negozietti straboccanti di abbigliamento le si illumina il viso! Bè, le donne sotto questo punto di vista sono sempre uguali.
Arriviamo così al grande teatro di Manaus, il palazzo più bello (progetto italiano!) e importante della città. E mi chiede:”Che cos’è un teatro?”. Ehm…. dunque…. allora.… Bò, non so cosa rispondere! Un po’ per il mio portoghese abbastanza semplice ma soprattutto per il fatto che non saprei come spiegarle cosa è un’opera o una recita (in casa prima non aveva neanche la Tv), me la cavo dicendole che ci fanno concerti di musica. Non voglio dirle cose che non può capire, credo le aumenterebbe la confusione che già ha. Ci giriamo dall’altra parte e vede una grande chiesa. Altra domanda:”Perché è così alta quella chiesa?”. Ehm…. dunque…. allora.… Acc, a queste domande non riesco a rispondere! Anzi, mi fanno venire dubbi anche a me. Perché le chiese sono così alte? Forse perché se fossero basse non ci sarebbe aria a sufficienza per respirare quando si riempie? Bò, questa è l’unica soluzione che mi viene in mente.
Per concludere il giro (abbiamo poche ore a disposizione), piuttosto che andare in un parco che forse, abituata com’è alla natura, non le direbbe molto, scelgo una meta caratteristica delle grandi città, che poi mi dirà è il luogo che le è piaciuto di più: l’Amazonas Shopping, il centro commerciale più grande di Manaus. Qui facciamo una foto seduti in un tavolino di un bar, e mi dice che gliela vorrebbe mandare alla mamma per farle vedere dove era stata. Caspita, per la foto davanti al bellissimo teatro Amazonas non aveva aperto bocca. E, dopo qualche problema nel salire e scendere sulle scale mobili (mette sempre i piedi al centro, fra uno scalino e l’altro), la riaccompagno a casa. Ne ha già abbastanza, troppe cose nuove. E poi ha paura che la cugina telefoni a casa e non la trovi.

Ricordate, dal precedente post, perché è venuta a Manaus? Per la voglia di conoscere il mondo? Si, se fossi ripartito da Manaus con il ricordo di quella breve chiacchierata in barca, avrei sempre conservato il bel ricordo di questa ragazza che, di sua volontà, aveva lasciato la terra natia per la curiosità di vedere cosa c’era al di là del fiume. Una bella poesia da conservare fra i ricordi di vita, più che di viaggio.

E invece… le poesie quasi sempre esistono solo su carta, non nella realtà.

Quando ci incontriamo a casa sua, in breve tempo mi racconta la sua vera storia. Si è appena separata, due settimane prima di partire. Ha un figlio di tre anni che è stata costretta ad abbandonare (per ora) con la forza. Il marito beveva, picchiava lei e il figlio, “mulherava” (in portoghese “andava a donne”) e, quando lei l’ha lasciato, l’ha minacciata di morte se portava via il bambino. E anche se non lo portava via. Così è dovuta scappare via, lontano, lasciando suo figlio ai genitori di lui e temendo per la sua stessa vita. In quel villaggetto sperduto nella foresta la polizia non esiste, tantomeno i servizi sociali.
Ma come, e io che pensavo alle baracche nella giungla, fra palme verdi, scimmiette e pappagalli colorati. Una vita felice insomma. E invece, oltre alle scimmiette c’era lo scimmione cattivo che rovina il mio sogno. Ora capisco perché ha sempre quell’aria triste, non è dovuta solo al suo carattere chiuso.
La storia dello scorpione? Vera, però mancava il contorno della storia. Quella notte, come faceva sempre, trasportò per ore l’acqua dal fiume alla cisterna di casa, 500 metri per andare e altrettanti per tornare, con un secchio in testa. Aveva il bambino piccolo in casa e le serviva tanta acqua, e il marito non l’aiutava mai in quel lavoro. E così, dalla stanchezza, non vide lo scorpione per terra e ci mise il piede sopra. Il marito quella notte era a letto che dormiva, sbronzo, e non poteva aiutarla. La sua fortuna fu che quella notte aveva ospitato in casa un bambino dei vicini, di 11 anni, che così corse per un chilometro, di notte nella foresta buia, per andare a cercare l’antidoto. E dopo un giorno di sofferenze (mi dice che l’antidoto fa tremare il corpo per un giorno intero) si salvò.
E il cobra? Tutto vero, ma quel giorno, per il gran spavento, perse il bimbo che aveva in grembo.

Bè, adesso il blog è diventato uno spazio per problemi matrimoniali? No, però questa triste storia dimostra che, anche andando a cercare il più piccolo villaggio sperso nella immensa giungla amazzonica, i problemi sono gli stessi, che so, del centro di Roma o di New York. Non esistono paradisi, la mente dell’uomo (inteso come genere umano) è bacata in ogni angolo di mondo. Anche in Colombia, quando feci una visita ad un villaggio di indios (questi al 100%, vivevano in capanne – qui ci son le foto -> FOTO ) ricordo che quel giorno la comunità aveva un problema ed erano tutti tristi. La moglie di un giovane aveva scoperto che il marito il giorno prima l’aveva tradita con una donna di un altro villaggio vicino. Insomma, soliti problemi dappertutto!

Bene, ora devo chiudere questo post e ci vuole un finale… ah si, eccolo.

Come finisce la storia di Nazarè? Bene, ora lei rimane un po’ di tempo qui a Manaus, per far calmare le acque e i nervi del marito violento e inoltre per lavorare e mettere da parte un po’ di soldi. Appena ne ha a sufficienza ritornerà nella foresta e si riprenderà il figlio. Con i soldi si può fare tutto in Brasile, anche nel cuore della foresta amazzonica.
E quindi, ancora una volta (ma per motivi ben diversi dal post precedente), buona fortuna Nazarè!

Nazare

Qui ci son le foto di Manaus!

FOTO Manaus

Ciao!

Mag282007

(DA BELEM A MANAUS) Nel Rio Delle Amazzoni

Arrivo a Belem, capitale del Parà, città situata sulla foce del Rio Delle Amazzoni. E qui, così come la musica, cambiano anche, ancora una volta, i tratti somatici delle persone. Dopo il bianco sud e la nera Bahia, con tutte le sfumature intermedie, ora qui è maggiore la presenza india, e ciò si nota soprattutto dagli occhi quasi a mandorla di molti abitanti e dai capelli lisci come spaghetti, come a Bahia le ragazze sognano di avere (e a volte ottengono con costosi e talvolta pericolosi trattamenti).
Bella questa varietà. Tanti stati, ognuno con forti caratteristiche proprie. Etnie, tradizioni, cultura, musica e comportamenti sociali sensibilmente differenti. Più che uno stato federale il Brasile si può assimilare ad un continente, ed infatti ha le stesse dimensioni, per esempio, dell’intera Europa.
Qui a Belem mi fermo un giorno solo, il tempo necessario per prepararmi alla risalita del fiume più grande del mondo in barca. Viaggio questo della durata di 5 giorni (ma io ce ne metterò 7!) che si fa con traghetti di varie grandezze, a seconda del giorno in cui si parte. Io parto di martedì e quindi mi tocca il “Nelio Correa”, uno dei più piccoli ma che, mi diranno poi, è il migliore per quanto riguarda la cucina a bordo.

Necessario per il viaggio: biglietto, amaca e repellente insetti.

Biglietto: 160 R$ dormendo in amaca sul ponte, all’aperto, o 300 R$ dormendo in cabina con aria condizionata. Inizialmente pensavo di prendere la più comoda cabina, anche per paura di eventuali furti ai bagagli, ma poi ho scelto l’amaca che, dal mio punto di vista, è la scelta migliore. Non solo perché risvegliarsi la mattina e vedersi davanti la rigogliosa foresta amazzonica è ogni giorno uno spettacolo, ma anche perché lo stare appesi ad un’amaca a stretto contatto con i brasiliani (che appendevano le loro amache in ogni spazio libero) ha reso la vita a bordo di quei sette giorni più movimentata e interessante. In breve tempo infatti ci si conosceva quasi tutti e si passava il tempo assieme. Questo mezzo di trasporto è utilizzato dal ceto basso/popolare brasiliano (quello più interessante e divertente!), mentre il ceto medio e alto a Manaus ci va in aereo, che costa poco di più e ci impiega poche ore anziché 5 giorni.

Amaca: comprata al mercato, una delle più economiche, tanto mi serviva solo per quei pochi giorni: 20 R$ (7 €).

Vaccini: non necessari. A Belem sono andato in una farmacia e la commessa, ragazza di Manaus che ha attraversato il fiume tante volte, mi ha detto che non c’era il pericolo di malaria e che bastava un semplice repellente. E quindi se già ero poco propenso a fare la profilassi, dopo ne ero più che certo. A bordo poi ho chiesto qui e là. Brasiliani: nessuno ne ha mai fatto. Turisti stranieri: quasi tutti l’avevano fatta, con grande gioia delle case farmaceutiche europee. Comprate il Lariam, comprate. In Brasile ora è più pericolosa la Dengue, malattia portata da un’altra zanzara per la quale non esiste profilassi o vaccino. Solo prevenzione. E quindi repellente e abiti lunghi la sera sono la soluzione più efficace.

Nell’ostello di Belem ci siamo solo io e Bruce, un simpatico australiano sui 65 anni con il quale usciamo insieme l’unica notte passata a Belem. Simpatico perché, nonostante la sua età, fa le stesse cose che ho visto fare ad altri ragazzi australiani incontrati: beve birra ad una velocità tale che faccio fatica a stargli dietro, fa lunghi viaggi ogni anno e mi accenna anche alle sue avventure amorose in viaggio! E inoltre con Bruce prendiamo lo stesso traghetto per Manaus.

Martedì 17, ore 17 (più un’ora e mezzo di ritardo): inizia una delle parti di questo giro del mondo da me più attese. Con Bruce saliamo a bordo del traghetto che ha due piani (più sotto la stiva) e montiamo le amache nel ponte più alto, dove la visuale è migliore (e dove c’è più aria). Mi fermo poi ad osservare come la barca viene caricata delle merci. Nessun muletto, tutto a mano con una catena umana di giovani brasiliani. Interessante notare come anche al lavoro i brasiliani giochino sempre. Si lanciano le scatole senza preoccuparsi troppo se l’altro è pronto a prenderle, anzi più vedono uno in difficoltà e più gliene tirano addosso! Infatti ogni tanto qualcuna cade a terra e si rompe, qualcuna cade su un piede, un grande bidone è addirittura caduto in acqua e affondato. Ma, dopo qualche risata, il lavoro proseguiva normale.
In barca ci sono anche due altri italiani e due spagnoli, oltre ad un gruppo di tedeschi assolutamente asociali, naturalmente alloggiati nelle cabine. I due italiani hanno lasciato il Bel Paese 5 anni fa e da allora lavorano per una parte dell’anno all’estero e viaggiano nella restante parte, finché durano i soldi. E poi da capo. La regola è sempre la stessa, già vista altre volte: lavorare nei paesi ricchi e viaggiare in quelli poveri.
La prima notte passa un po’ insonne, con tante contorsioni nella continua ricerca della posizione migliore, ma nelle restanti si dorme benissimo.

amache barca rio delle amazzoni

In barca ognuno passa il tempo come può: c’è chi dorme, chi prende il sole, chi gioca a domino, chi gioca con un pappagallo, chi con un porcellino d’India, chi beve, chi mangia, chi flirteggia, chi legge, chi guarda i video musicali al bar. Io conosco Laurene, una brasiliana che (come molti maranhensi periodicamente fanno) si sta trasferendo dal Maranhao in un altro stato, e passo il tempo con lei, oltre che con gli italiani, lo spagnolo e Bruce.
Ma soprattutto in barca si ammira quella opera d’arte della natura che è la foresta amazzonica: piante di ogni tipo, anche altissime, qualche scimmietta, uccelli, le liane di Tarzan, qualcuno ha visto anche un cobra. E poi gli indios, a volte in riva al fiume vicino alle loro baracche e a volte in canoa, che si avvicinavano al traghetto per farsi lanciare offerte varie (soldi, cibo, vestiti). Alcuni invece si avvicinavano di più, “abbordavano” la nostra barca con un gancio, fissavano bene la loro canoa e poi si arrampicavano e salivano a bordo per vendere frutta strana, manufatti o cibi vari. Io gli compro sei banane per mezzo real (20 centesimi/euro) e due specie di fave grandi i cui semi si succhiano. Il nome del frutto è irripetibile.
Era un po’ triste vedere quelle piccole canoe a remi avvicinarsi al traghetto, con una giovane mamma che remava affannata per avvicinarsi il più possibile e i piccoli bambini dentro che salutavano i turisti in maniera meccanica, in quello che per loro era diventato un vero e proprio lavoro quotidiano: avvicinarsi alla barca per chiedere offerte. E i bambini servivano a quello, chi ne aveva in barca infatti riceveva più offerte (tipico esempio questo di marketing indios!). Altro che andare a pescare o coltivare yucca!

indios rio delle amazzoni

Indios sul Rio Delle Amazzoni

Il secondo giorno l’imprevisto, che però in Brasile non è molto imprevisto (mi è successo un’altra volta): si rompe uno dei due motori, e quindi la velocità diminuisce.. Si prevedono quindi due giorni di viaggio in più, 7 anziché 5. Ok! E chi ha fretta? Si sta così bene qui, oggi poi che c’è un bel sole forte hanno aperto quattro grandi docce sul ponte aperto e ci si può bagnare, proprio in un punto poi in cui siamo vicinissimi alla riva, e quindi agli alti alberi della foresta.
E’ stato questo uno dei momenti più piacevoli di tutto il mio viaggio: sole, acqua fresca, natura, due simpatici amici italiani, le amiche brasiliane, cosa si vuole di più? E pensare che …. continua a leggere qui >>

Mag262007

ALGODOAL, e il mare in viaggio

E’ la volta di una tappa “marina”. A parte le due settimane di mare di Arraial D’Ajuda e alcuni giorni a Rio, nei primi 5 mesi di viaggio di spiagge ne ho frequentato ben poche. Strano in Brasile? Un po’, visto che qui le spiagge abbondano, ma non per me e, visto che spesso mi viene chiesto per mail e molti pensano che passi tutti i giorni in spiaggia, scrivo qui perchè ci vado cosi poco. I motivi sono diversi.

  1. Potrà sembrare presuntuoso ma il fatto che viva in Sardegna non mi fa apprezzare molto tante spiagge che incontro. In tanti viaggi fatti, solo una volta ho incontrato spiagge più belle di quelle sarde che ben conosco, ed esattamente a Los Roques, in Venezuela. Molte altre le ho trovate belle dal punto di vista paesaggistico, perché quando una spiaggia è bordata da una fila di palme da cocco ha indubbiamente quel tocco esotico che la fa apprezzare, ma poi la trasparenza dell’acqua e il colore della sabbia spesso lasciavano a desiderare.
  2. Il Sole! Qui il sole non scherza, siamo sempre fra i tropici e l’equatore, ed è indispensabile usare sempre creme protettive da 30 fp in su. E per me che ho una paura matta delle scottature, è questo il punto più importante.
  3. Ci sono così tante cose da fare/vedere/conoscere in viaggio che lo stare tante ore buttati in spiaggia mi sembra, a volte, una perdita di tempo.
  4. Aggiungo un ultimo punto, specifico di questo viaggio: i pericoli. A Rio la forte corrente oceanica rendeva spesso problematico l’uscire dall’acqua; ad Arraial, durante il primo bagno, mentre nuotavo verso il largo l’acqua è diventata improvvisamente bassa e son finito con l’infilare una mano e un piede sopra un bel riccio; sempre ad Arraial, pochi giorni dopo e sempre nuotando, son finito in mezzo alla “marea rossa” (vedasi post n° 23, Arraial/1); andando ora in barca ad Algodoal si vedevano galleggiare sul mare centinaia di meduse. Può bastare. Pochi bagni per ora.

Ma, nonostante tutto, ora da Bom Jardim faccio rotta verso l’ultimo mare dei prossimi 3 mesi, prima di poterlo rivedere a Bali (o a Darwin). Scelgo quindi un’isoletta di cui mi aveva parlato il maltese (del post n° 32, Sao Luis/2). Ci si arriva in autobus da Belem e poi in barca. E’ appena sotto l’equatore, a mezzo grado di latitudine sud. E’ questa la volta che mi avvicino di più all’equatore, anche se ancora non son riuscito a fermarmi allo zero esatto.
L’isoletta si chiama Algodoal, non ha strade asfaltate, non ci sono macchine, moto o altri mezzi a motore (a parte le barche) e le strade sono quasi tutte di sabbia.
Nuovo stato (Parà), nuova musica. Dopo il samba di Rio, l’axè di Bahia, il forrò, seresta e reggae del Maranhao, è ora la volta della brega, musica e ballo prevalente nel Parà. Ma a parte le feste del sabato sera (anche in quest’isoletta, almeno il sabato, i brasiliani si scatenano! Non c’è verso, niente li ferma) gli altri giorni passano molto tranquilli (e spesso con pioggia) per cui mi fermo solo 4 giorni, prima di fare rotta verso Belem, porto di partenza per risalire il Rio Delle Amazzoni.

Ecco qui sotto le foto di Algodoal.
Ciao ciao!

FOTO ALGODOAL

Mag192007

(BOM JARDIM) Il convento

L’imprevista lunga sosta a Sao Luis, oltre la lunga di Salvador, mi costringono a rivedere l’abbozzato programma di viaggio. Avevo sì previsto, prima di partire, di fare cambiamenti nel corso del viaggio, ma devo dire che ora devo tagliare un bel po’. E quindi via Bolivia, ci andrò un’altra volta, via saltino in Colombia a trovare amici, via sosta di 2-3 giorni in Cile per stare con altri amici, via tappa qui vicina di Cururupù (località di mare che mi attirava per il nome curioso che aveva), e anche Cuba sta rischiando. Muovo così le pedine del mio personale mappamondo come se giocassi a Risiko, d’altronde l’importante non è la destinazione ma il viaggio in se stesso e tutto quello che c’è intorno.

Dopo S.Luis ripasso per un solo giorno a Peritorò per distribuire foto che ho fatto sviluppare in città, visto che nel paesino non c’era neanche uno studio fotografico. Foto fatte alla famiglia che ho visitato e ad altre persone che poi mi avevano chiesto se potevano averne una copia. Tutti felicissimi di vedersi stampati su carta, soprattutto i bambini che, appena gira la voce che sono ritornato, accorrono da ogni parte per salutarmi e per vedersi in foto.

Tappa successiva a Bom Jardim, piccolo paesino analogo a Peritorò. Tanto piccolo che l’autista dell’autobus si dimentica di fermarsi, e quando glielo ricordo non può fare altro che farmi scendere lì dove siamo, in piena campagna. A Rio non avrei mai accettato, ma qui è più tranquillo. Mi tocca così farmi 2 km a piedi sotto il sole prima di raggiungere le prime case. E il sole, e soprattutto l’umidità, sono forti. Man mano che mi sto avvicinando all’equatore il clima sta diventando sempre più torrido, uff!
A Bom Jardim si trova un altro centro di assistenza per bambini poveri, gestito dalla stessa associazione di Peritorò. Visto che si trovava lungo la strada per Belem, dove vado fra qualche giorno, faccio una sosta qui su richiesta, via e-mail, di un’altra mia collega di lavoro. Insomma, qui si fanno le tappe a richiesta ora. Qualcuno vuole che passi da qualche altra parte? Avete un lontano parente in Australia che non avete mai visto e volete un servizio fotografico sulla sua famiglia? Scrivete pure e aggiungo la tappa al mio giro del mondo. Prezzi modici! 🙂

A Bom Jardim mi reco dalle suore che gestiscono il centro (una è italiana, e per di più sarda), le quali molto gentilmente mi ospitano a “casa” loro. Scrivo “casa” fra virgolette perché quella che credevo fosse una loro casa privata, l’ultimo giorno scopro si tratta di un vero e proprio convento, con tanto di cappella, fra le risate delle 4 suore e delle 5 simpaticissime “postulanti” che vi abitano. E così, per la prima volta, ho dormito in un convento! Devo dire che è stata un’esperienza più che piacevole, sia per l’estrema gentilezza di tutte che per il fatto che, dopotutto, ero in una casa con nove donne e quindi ero un po’ al centro dell’attenzione. Oltre le 4 suore c’erano 5 “postulanti” (non so se in italiano si chiamano allo stesso modo), cioè il grado prima di novizia, ragazze sui 20-22 anni che dovevano passare lì dentro un paio di anni prima di prendere i voti.
La prima sera a cena con noi c’è anche il giudice del distretto, unico magistrato per 50.000 abitanti, che infatti dopo cena corre di nuovo in ufficio a lavorare. E dopo, film in DVD. Titolo: Uma novizia rebelde (una novizia ribelle). Bè, non potevo aspettarmi altro!

I due giorni successivi li dedico alla visita al centro, analogo a quello di Peritorò ma un po’ più grande. Qui infatti vengono accolti 230 bambini, sempre divisi in due turni. Anche qui ci sono le aule di sostegno (4), di cucito, informatica, la palestra e l’orto, oltre a cucina (1 pasto al giorno per tutti), refettorio e chiesa. Anche qui accoglimento festoso dei bambini, che l’ultimo giorno arrivano addirittura a chiedermi l’autografo! Bè, per un giorno sono stato una star!

I fondi per il sostentamento di questo centro vengono in gran parte da donazioni italiane (di privati, in prevalenza sardi) ma qui, a differenza di Peritorò, le suore son riuscite ad avere un aiuto anche dal Comune, che ha incluso questo centro (considerato in Brasile “scuola privata”) nell’elenco delle scuole pubbliche cittadine da sovvenzionare.
E 230 bambini messi insieme mangiano un sacco di roba! Un giorno arrivano 40 kg di carne bovina, e la cuoca mi spiega che bastano solo per un giorno (carne servita poi a pezzi in mezzo al riso bianco e fagioli). E poi le spese per gli insegnanti, il materiale scolastico, luce, pulizie, etc. E quindi anche qui ora scatta l’annuncio! Chi volesse inviare aiuti per i bambini di Bom Jardim, clicchi qui sotto sul sito dell’Associazione che lo gestisce

www.operazioneafrica.it

Bom Jardim

Due giorni di sosta qui e poi riparto, lasciando un po’ a malincuore il convento dove mi son trovato veramente bene. Mi sarei fermato volentieri qualche altro giorno, ma ormai è troppo tardi e c’è già una vicina che mi aspetta per accompagnarmi alla stazione, distante una ventina di km. Saluto così Adelia, la madre superiora, Antonietta, la suora italiana, Deuseni, la suora che mi portava in giro in moto, Marinalva, che in convento ogni tanto si toglieva l’abito da suora e usava vestiti normali (non raccontatelo in giro però, non si può fare) e le cinque postulanti Ioneide, Francisca, Selma, Vanessa e Patricia. Chissà se riuscirò a ripassare qui. Se però ritorno in Maranhao, la tappa a Bom Jardim, in convento, è d’obbligo!
🙂

Ed ecco le foto di Bom Jardim (38)!

FOTO BOM JARDIM

 

Mag162007

(SAO LUIS/3) Le foto

Come consueto, alla fine dei post su una località, arrivano le foto.

Eccole qui, 55. Ciao!

FOTO SAO LUIS

Mag102007

(SAO LUIS/2) Il maltese e la filosofia latino-americana

Un giorno a Sao Luis conosco in un autobus un ragazzo maltese (non era corto, però… ok, questa era fredda!). Si parla del viaggio, solite cose e poi ci si saluta. Il giorno dopo lo rincontro per caso in un ristorante e mangiamo insieme. E quindi parliamo più profondamente.
Ingegnere, sui 30 anni o poco più, a Malta aveva un ottimo lavoro, sicuro e ben pagato. Si era quindi comprato la casa e aveva anche la ragazza già da un po’, rapporto stabile. Un giorno in ufficio si è fermato ad osservare il salvaschermo del suo pc (un paesaggio tropicale) e ha detto:”Ma che ci faccio qui?”. In pochi giorni ha lasciato tutto (lavoro, casa e donna) ed è partito per un lungo viaggio in America Latina, con data di rientro “aperta”. E come lui ne ho incontrato anche altri in questo viaggio, anche un italiano pochi giorni fa sul Rio delle Amazzoni. Come può succedere questo?
A volte son più le certezze che spaventano rispetto alle incertezze. Il sapere già cosa si farà i successivi 10-20 anni rispetto al non sapere cosa fare o dove andare il giorno dopo. La vita è una sola, non si può rovinarla, a parer mio, pianificando sempre tutto, togliendole il gusto dell’imprevisto, dell’ignoto. Togliendole il sale. E’ come mangiare una bistecca senza sale. Certo c’è a chi piace così, senza sale, giustissimo. Ma a me la carne è sempre piaciuta con molto sale, mia madre lo sa bene. Magari non come in Brasile, che di sale nella carne ce n’è sempre troppo e, pensando bene alla metafora, a volte ce n’è troppo anche nella vita reale. Ma qui va bene così, molto sale nella carne, molto sale nella vita. Per pensare a domani c’è tempo. Per ora pensiamo all’oggi.

Questo è uno dei cardini della filosofia latino-americana, esattamente l’opposto di ciò che si pensa dalle nostre parti. Il mutuo, la casa, lavorare tanti anni per avere una buona pensione domani, tutte cose da fare in gioventù per poi, un lontano giorno, arrivare alla terza età e godersi i frutti, quando però la giovinezza è ormai sfiorita. Non è forse meglio fare esattamente il contrario, godersi prima di tutto la vita e poi pensare a tutto il resto?
Ecco, ora vi do i compiti per casa. Riflettete su queste righe nel prossimo week-end, poi datemi qualche risposta. Anzi, ora ci faccio un sondaggio in proposito, qui a destra.
Ciao!