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diario di viaggio in colombia: parte seconda

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MEDELLIN

diario di viaggio colombia

diario di viaggio colombiaDal sud-ovest della Colombia inizio la risalita verso nord e, dopo due grandi città, voglio ora visitare un paesino. Mi fermo così un giorno a Salento, antico e fresco paesino a 1900 mt di altitudine dove il pomeriggio, seduto sul cassone di un fuoristrada, mi reco a vedere l’attrazione maggiore di questo “pueblito”, e cioè la “Palma de cera”, la varietà di palma più alta del mondo che raggiunge anche i 60 mt di altezza. Per il resto però la gente sembra meno cordiale degli altri luoghi che ho già visitato. Dopotutto qui siamo in montagna.

Alla fine del paesino c’è una lunga scalinata che porta in cima a una collina dalla quale si può ammirare tutta la “Valle de Cocora”, verdissima fino alle cime delle montagne. Sulla collina c’è anche un gruppo di militari che sorveglia la valle, tre dei quali però lo fanno... dondolandosi su un’altalena. Suscita un po’ di curiosità il vederli, vestiti in mimetica e con il Kalashnikov sulle ginocchia, giocare come bimbi. In effetti sono spesso giovanissimi, a volte mi domando se abbiano almeno 18 anni.

Da Salento a Medellin, altra strada tortuosa che prima ridiscende e poi risale la “Cordillera Occidental”, fino ai 1540 mt di Medellin.

Paesaggi bellissimi. A poco a poco la folta e verdissima foresta tropicale che ricopre interamente i ripidi pendii delle montagne lascia il posto a campi coltivati ordinati e ben tenuti. Si vedono immense coltivazioni di caffé (secondo paese produttore nel mondo, dopo il Brasile) ma anche tanti pascoli con bovini. Bisogna dire che, rispetto ai vicini “cugini” venezuelani (che coltivano solo il 3% del loro paese, lasciando incolte la maggior parte delle pianure) i Colombiani sono più laboriosi anche da questo punto di vista.

Ma... non c’è tanto tempo per osservare i campi dal finestrino, è ora indispensabile guardare bene la strada e soprattutto ciò che fa l’autista di turno. Non ho dubbi nel collocarlo al primo posto nella speciale classifica dei peggiori (o migliori?) autisti che ho incontrato in Colombia. Incoraggiato dal fatto che guida un pullman un po’ più piccolo degli altri (30 posti), le acrobazie che riesce a compiere in questi tornanti mi spingono ben presto a decidere di non guardare più la strada e di chiudere gli occhi per cercare di dormire.

Ma come si fa, mi chiedo, ad iniziare un sorpasso quando si hanno a malapena 15 mt di spazio, poco prima di una curva cieca, in salita e quando il mezzo che si vuole sorpassare è un mezzo pesante? Non so. Gran merito del successo (e quindi della sopravvivenza) va al fatto che queste strade son poco trafficate. La gente si sposta soprattutto con i mezzi pubblici, o perchè l’auto non ce l’ha, o perchè è più sicuro che spostarsi da soli attraverso questi monti poco abitati.

 

Medellin, seconda città colombiana (2.000.000 di abitanti) è conosciuta nel mondo in quanto ex capitale mondiale della cocaina ai tempi di Pablo Escobar, carismatico narcotrafficante che riuscì anche a fondare un partito politico e a farsi eleggere al Parlamento. Ucciso nei primi anni 90, il centro di potere della droga cambiò residenza ma Medellin rimase comunque il centro economico e industriale più importante del paese, tanto che i suoi abitanti (chiamati “paisà”) periodicamente rivendicano l’autonomia dal resto del paese e da Bogotà, che è invece la capitale culturale del paese, oltre che amministrativa. Ricorda un po’ le nostre Milano e Roma, o no?

Proprio per i passati fatti (o misfatti) di Pablo Escobar, Medellin è rimasta nell’immaginario di chi non è mai stato in Colombia come “l’inferno” di questo paese, a sua volta “inferno” del continente Sud Americano. Se provate ad andare in un’agenzia di viaggi italiana, per la Colombia vi proporranno solo una visita a Cartagena e forse all’isoletta caraibica di S. Andrès, tutto il resto è “out”. Assolutamente pericoloso. Addirittura nei siti governativi italiani viene fortemente sconsigliato qualsiasi viaggio in Colombia.

Se non è assolutamente motivata la brutta fama che il paese ha nel mondo intero, ancor di meno lo è Medellin rispetto agli altri luoghi colombiani. Anzi posso dire che qui ho trovato persone ancora più cordiali e gentili di quelle (comunque sempre molto socievoli) incontrate nel resto del paese.

 

Però... però... prima di constatare tutto ciò sono arrivato a Medellin, carico di tutte le false notizie sulla città, un caldo pomeriggio e, dopo aver lasciato i bagagli in hotel, son subito uscito ad esplorare il centro città. Fatta qualche decina di metri, sento delle urla che si avvicinano sempre più e dopo un po’ vedo un ragazzo che mi sfreccia a fianco, inseguito da tre militari.

- Ecco – penso subito – la città è proprio pericolosa come si dice -. Quando il ragazzo passa vicino a me, lascia cadere quella che credo sia la refurtiva: tre scatole di biancheria intima che sembrano... mutande!

Nonostante il giovane fosse decisamente più veloce, i passanti iniziano tutti ad urlare “Ladròn, ladròn” finchè qualcuno non lo ferma e permette così alla polizia di acciuffarlo. E siccome la ressa è proprio nella direzione in cui sto andando, mi infilo anche io a curiosare. Mi aspetto di vedere un poveraccio, morto di fame, vestito di stracci come i tanti barboni che si incontrano per strada. Invece... bah, quasi non ci credo. E’ un ragazzo sui 25 anni, nero, che indossa una bella magliettina sportiva, pantaloni corti al ginocchio come si usano qui e un paio di “Nike” nuove ai piedi.

- Ma... ma... ma... perchè? – Dall’aspetto insomma non sembra uno senza soldi, e per di più ha tentato di rubare tre mutande! I militari lo ammanettano e lo portano via, dandogli ogni tanto una manganellata nella schiena giusto per rassicurarlo un po’. Ciò che più mi ha colpito è però l’atteggiamento della gente, di approvazione per la polizia e di condanna per il ladro, tanto che se non fosse stato per loro la polizia non l’avrebbe preso. Chissà perchè mi vengono in mente situazioni analoghe capitate in alcune grandi città del sud Italia, dove però l’atteggiamento della popolazione è stato, a volte, esattamente l’opposto.

 

Il giorno dopo visito il “Museo de Antioquia”, con l’immancabile esposizione di dipinti dell’onnipresente Fernando Botero. Il museo poi è ubicato davanti alla “Plazoleta de las esculturas”, grande piazza dove son collocate una ventina di grandi statue di bronzo tutte di... Fernando Botero. Ma, mi chiedo, prima che nascesse Botero (1932) cosa esponevano nei musei colombiani? Mah... comunque sono molto belle (e buffe).

A Medellin rimango un paio di giorni e poi mi dirigo verso la vicina Venezuela per passare il week-end fra persone conosciute un anno fa, prima di dirigermi verso le coste del nord.

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VENEZUELA

A Cucuta, ultima città colombiana al confine con il Venezuela, prendo un taxi per recarmi prima agli uffici dell’immigrazione e poi per fare i pochi chilometri che mi separano dalla prima cittadina venezuelana.

Quando arriviamo a circa 10 mt dal confine, il taxi si spegne. C’è una fila lunghissima e il traffico è molto lento, ma il taxi non ne vuol sapere di ripartire. Non rimane allora che... spingere! Passo così la frontiera venezuelana a piedi, spingendo il taxi, fra le risate dei due militari della dogana!

 

Nei due giorni in Venezuela mi ritornano in mente i ricordi dei due mesi trascorsi qui un anno fa. E inizio a confrontare ogni cosa con la vicina Colombia.

In effetti i due paesi, pure se vicini, presentano alcune importanti differenze.

Una delle cose che prima si notano è la generale arretratezza economica e tecnologica del Venezuela. Questo si rileva osservando il più vecchio parco auto (ci son tante malconce Cadillac, ex auto lussuose, residui dei fastosi anni ’80 nei quali il Venezuela, grazie al petrolio che possiede, era uno dei paesi più ricchi dell’America latina), le condizioni delle strade e l’abbigliamento della gente (particolarmente gli uomini, perchè le donne son sempre ordinate, ad ogni latitudine, nelle grandi città come nei piccoli e poveri villaggi).

 

Le altre differenze si possono così sintetizzare.

  

NATURA: meglio in Venezuela (mar dei Caraibi, foresta amazzonica, savana, alta montagna, grandi paludi, isole con barriera corallina, cascate). In Colombia è simile, ma molte zone sono praticamente inaccessibili a causa della guerra civile (per esempio Amazzonia e savana).

GENTE: meglio in Colombia, più cordiale e affettuosa dei più “rudi” venezuelani.

SPIAGGE: il Venezuela, oltre alle stupende isole coralline di Los Roques (un vero paradiso, anche se “infestate” da italiani!), ha anche tante altre belle spiagge. In Colombia la costa oceanica non è molto gradevole (sabbia e mare scuro), rimangono alcune spiagge nella costa caraibica e le due isole di S. Andrès e Providencia.

COSTI: bassissimi nei due paesi, ma un po’ più bassi in Colombia (tranne per gli autobus, più cari).

     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CARTAGENA

Al rientro in Colombia, mentre scendiamo attraverso i ripidi tornanti della “Cordillera Oriental”, incontriamo al bordo della strada un pullman completamente bruciato. Questa zona, che ora dicono sia più sicura, alcuni anni fa era molto rischiosa a causa della guerriglia che spesso bloccava gli autobus per derubare (e a volte sequestrare) i passeggeri, incendiando poi il pullman prima di dileguarsi nella foresta.

Probabilmente la notte scorsa è accaduto di nuovo! Via, via, andare!!

 

Dopo una mezza giornata e una notte a Bucaramanga, grande città alle pendici dei monti famosa per una curiosa pietanza locale, la “Hormiga culona”, che è una specie di formica dal “culo” grande (che però non riesco a trovare da nessuna parte – non è la stagione giusta adesso), mi dirigo a Cartagena, bellissima città coloniale che si affaccia sul mar dei Caraibi. Il suo centro storico, ottimamente conservato, è stato dichiarato dall’UNESCO “Patrimonio mondiale dell’umanità”.

 

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Estremamente affascinante poi la lunga e possente muraglia che circonda l’antica città, costruita in passato per difenderla dai continui attacchi di pirati e bucanieri (XVI secolo). Nelle varie nicchie sono ancora presenti i cannoni che gli spagnoli utilizzavano per proteggere le loro ricchezze, che poi altro non erano che gli ori da loro rubati agli indios. Insomma, era una continua gara a chi rubava di più.

Finiti (o quasi) gli ori degli indios, gli spagnoli utilizzarono Cartagena per un altro importante (ma ancor meno edificante) commercio: gli schiavi neri africani. E infatti qui, nella costa caraibica (ma anche nella costa pacifica), la percentuale di popolazione nera presente è molto più alta del resto del paese.

Però, per i miei gusti qui a Cartagena ci son troppi turisti. E quindi, inevitabilmente, i prezzi sono più alti. Anche il clima è decisamente diverso. Dopo le fresche città montane visitate, sono ora in piena zona tropicale, con clima torrido (30-35°C!) e umido. Il richiamo del mare ormai si fa sentire sempre più!

Per tutti questi motivi mi trattengo solo due giorni in questa bella città e poi mi dirigo ancora più a nord, in un piccolo paesino di pescatori (e turisti) a 4 ore da Cartagena. Taganga.

 

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TAGANGA

Riesco a trovare  l’ultimo letto libero in un incantevole (ma caldissimo) hotel a 5 metri dal mare. Hotel “Casa Blanca”, 15.000 pesos (5 euro) con bagno in camera e ventilatore. La stanza ha una porta-finestra che si affaccia proprio verso il mare (indimenticabile il risveglio mattutino con “vista mare”) e  nel poggiolino c’è anche un’amaca, ottima la sera per leggere quando il caldo dà un po’ di tregua.

 

diario di viaggio colombiaL’hotel (e il paesino) è invaso da ragazzi/e israeliani, tanto che io e un attempato americano siamo gli unici due turisti non israeliani dell’hotel. La prima notte divido anche la camera con una (molto carina) ragazza israeliana.

Le loro storie sono uguali. Sono tutti ex militari di leva ed è frequente incontrarne in Sud America, anche se qui sono proprio tanti. Dopo i tre duri anni di servizio militare obbligatorio nel loro paese, partono per 5-6 mesi all’estero, finché gli durano i soldi. Se c’è un limite alla parsimonia, loro lo superano sempre alla grande. Addirittura ho letto in una guida il consiglio di seguire i turisti israeliani se si vuole spendere poco. Per cui il detto “ebreo” per denominare una persona tirchia non è privo di fondamento!

Oltre questo, hanno un’altra caratteristica che non li rende particolarmente simpatici rispetto ad altri stranieri: la scarsa socievolezza. Incontrandoli separatamente si può anche instaurare un dialogo, ma quando sono in gruppo diventano assolutamente asociali, spesso non salutano nemmeno. Nella settimana che rimango a Taganga riesco a scambiare qualche chiacchiera con tutti gli altri turisti che incontro in hotel tranne che con loro (però devo dire che non mi dispiace affatto: W la Palestina!).

 

Passano così tranquilli i giorni in questo piccolo pueblito. Il villaggio sarà lungo circa 300-400 mt, tutto a ridosso di una spiaggia circolare all’interno di un’insenatura. La sabbia non è particolarmente bella (non è bianca) ma l’acqua si e poi, oltre il promontorio, c’è una spiaggia più bella (Playa Grande) raggiungibile noleggiando una barca (4000 pesos A/R) o a piedi in 20 minuti (consigliabile però solo la sera, quando il sole è meno forte).

 

Sia a Taganga che a Playa Grande lungo la spiaggia ci son tanti piccoli ristoranti (capanne con tetto di foglie di palma) dove si può mangiare del freschissimo pesce (fritto o alla griglia) a pochi metri dal mare, con i piedi nella sabbia e con (questo solo a Taganga) musica latina a tutto volume.

Taganga ha anche un’altra particolarità: è la località in Colombia (e forse nel mondo) dove le immersioni subacquee e i corsi sub costano meno. Esempi: corso 1° e 2° livello Padi, 130 euro (4 gg); 2 immersioni in mattinata nella barriera corallina, con escursione in barca e noleggio attrezzatura, 30 euro. Dopo aver rinviato più volte, alla fine però rinuncio alle immersioni per una più interessante escursione di 3 gg al vicino Parque Nacional Tayrona, di cui parlerò più avanti.

 

 

 

IL LATIFONDISTA

 

La sera, al rientro dalla spiaggia, la mia sosta d’obbligo per una (o, più spesso, più di una) birra è al ristorantino di una cicciotta e simpatica signora colombiana. Seduto nel muretto davanti alla strada principale, sorseggiando una birra gelata e ascoltando salsa come sempre ad alto volume, ho trascorso piacevoli serate e conosciuto tanta gente del posto. Il fine settimana poi il villaggio si riempie anche di tanti turisti colombiani, molti dei quali vengono addirittura dalla capitale.

E infatti sabato pomeriggio, dopo appena un sorsetto di “Aguila”, mi ritrovo nel bel mezzo di una tavolata con una decina di colombiani. Alcuni vivono qua, uno è argentino (e parecchio sbronzo) e altri vengono da Bogotà. A fianco a me c’è proprio un turista di Bogotà. Dopo un po’ che parliamo (e dopo parecchie birre alternate a bicchierini di “Ron de Medellin”) quest’ultimo si “apre” di più e inizia a parlarmi della sua vita. Mi dice che ha una grandissima azienda agraria vicino alla capitale e .... bla... bla...bla... All’inizio rimango sbigottito. Un latifondista! Finalmente ne conosco uno! Il latifondo è, in parecchi paesi Sud Americani, la principale causa di povertà della popolazione. Enormi appezzamenti di terra appartenenti a poche (ricchissime) persone. Una volta in Brasile, nel Mato Grosso, ne ho attraversato alcuni in fuoristrada; ci son volute ore per attraversarli dall’inizio alla fine. E tutti al centro avevano una lussuosa villa con piscina e antenna parabolica, che strideva enormemente con le vicine baracche fatiscenti dei loro dipendenti. Ricordo che provocava una profonda tristezza il vedere un tale abisso sociale fra persone che fra l’altro vivevano a pochi metri di distanza le une dalle altre.

E ora sono qui, che osservo il mio interlocutore mentre mi parla, e un po’ mi perdo nei miei pensieri. I proprietari dei latifondi li ho sempre immaginati analoghi a quelle ville lussuose, e quindi persone distinte, eleganti e anche... profondamente antipatiche. E invece lui indossa una semplice polo giallina e jeans non vecchi ma neanche nuovi. Ha meno di 40 anni, bianco, capelli corti a spazzola. Insomma, uno qualsiasi. Però sorride raramente, ha il viso segnato e apparentemente stanco. Riprendo ad ascoltarlo con più attenzione. Mi dice che l’azienda va bene, ha abbastanza soldi, viene spesso qui al mare in aereo per il week-end. Ma... ma... l’azienda è di tutti i fratelli, che prima erano 12: ora ne sono rimasti vivi 4! La guerriglia ha ucciso gli altri, e lui stesso teme per la sua vita e per quella dei suoi 2 figli. Gira sempre armato, tranne in questo momento. Probabilmente però la pistola ce l’ha nell’auto a pochi metri da noi. Anche qui, nella costa caraibica (territorio controllato dai paramilitari dell’AUC) dice che è conosciuto, sia dalla polizia che dai paras e quindi deve stare sempre attento, anche se non come a Bogotà.

- Perchè non vendi tutto e cambi paese? – gli chiedo. Mi risponde che la sua azienda è talmente grande che ha un valore enorme, e che quindi nessuno gliela comprerebbe.

Strano destino. Qui in Colombia la maggior parte delle persone è condannata alla povertà per tutta la vita e lui, più che benestante, è condannato probabilmente a morire, come i suoi 8 fratelli, dalla sua stessa ricchezza. Non c’è pace per nessuno. Mi invita anche ad andare a visitarlo, quando ritorno a Bogotà per partire in Italia. Se vado la sera prima usciremo insieme a “rumbear” (fare festa, gozzovigliare) nei locali notturni. Ma, dopo quello che mi ha raccontato, non mi attira molto uscire in giro con lui. Ci diamo quindi appuntamento per le 23 per andare insieme a ballare, e lo lascio per andare in hotel a lavarmi e poi a cenare.

 

 

 

SABADO NOCHE EN TAGANGA

 

diario di viaggio colombiaMa, come al solito, i programmi saltano sempre e così poco dopo mi ritrovo da tutt’altra parte ad accompagnare a casa sua Natalia, un’artigiana conosciuta in spiaggia comprando un braccialetto, che ora è troppo sbronza per arrivarci da sola. Per di più abita lontano, fuori dal paese. Dopo varie soste (ogni volta che passiamo vicino ad un locale dove c’è musica mi chiede di ballare con lei in strada, cosa che chiaramente a me non dispiace!) arriviamo a casa sua. Ha appena il tempo di sdraiarsi in un’amaca che Morfeo se la porta via. Finalmente posso così lasciarla e riavviarmi all’hotel, all’estremo opposto di Taganga. Natalia la incontrerò di nuovo diversi giorni dopo e mi dirà che si è svegliata il pomeriggio del giorno dopo, ancora vestita e con le scarpe come quando si sdraiò sull’amaca. Hic!

 

In discoteca, appena arrivo e ordino la prima birra, conosco due ragazze, Helen e Andrea, con le quali vado poco dopo a ballare salsa. Sembra che la birra mi porti fortuna, ogni volta che la ordino conosco qualcuno. O forse è più giusto dire che con il caldo che fa qui si beve continuamente tutto il giorno, quindi quando incontro qualcuno è molto probabile che abbia qualche bevanda in mano!

Le due amiche mi insegnano anche alcuni movimenti del Reggaeton, un nuovo ballo caraibico ancora più sensuale. Un ballo invece che esiste solo in questa parte della Colombia è la Champeta, dove praticamente l’uomo e la donna stanno sempre attaccati strusciandosi in ogni modo, con un ritmo simile al merengue. Sia la Champeta che il Reggaeton son però, purtroppo, improponibili dalle nostre parti!

Bella serata oggi, una delle migliori di tutto il viaggio. Alle 3 la discoteca chiude e alle 3.01 entrano i militari a sbattere tutti fuori. Storie di orari inflessibili pare o forse, come alcuni maligni commentano, di tangenti che la proprietaria non vuole pagare.

Comunque è sabato notte, sono solo le 3 e fuori del locale siamo in tanti ad essere rimasti delusi della breve nottata. Ma, dopo un rapido passa-parola, ecco che una ragazza svizzera (che vive qui da alcuni anni) improvvisa un party nel giardino di casa sua e invita tutti. Wow! Lunga camminata e infine arrivo.

Ecco che spuntano fuori degli strumenti musicali usati in tarda serata da un gruppo di musicisti, i quali ora ripetono la loro performance. Bravissimi.

Ecco che salta fuori un grande bidone con dentro acqua, ghiaccio e tante bottigliette di birra. Stupendo.

Ecco che dopo il concerto improvvisato viene acceso uno stereo a tutto volume con musica varia, dal rock al reggae, dalla salsa al reggaeton! Non ho più parole.

Mi godo la serata, la musica, la compagnia di Helen e Andrea e la socievolezza di tutti, molti dei quali li conosco proprio qui.

Alle 6, mentre albeggia, rientriamo, mentre c’è chi non desiste e addirittura inizia ad arrostire dei pesci.

 

 

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