COLOMBIA 2005
BOGOTÀ Aeroporto di Bogotà, 18.03.2005: primo contatto con i pur gentili poliziotti colombiani che, oltre a ricontrollare ai raggi X i bagagli (ma che senso ha all’arrivo?) mi perquisiscono da testa a piedi. Le perquisizioni personali sono pratiche quotidiane in Colombia, infatti poi scoprirò che vengono sempre fatte all’ingresso di bar notturni, discoteche, stazioni, etc. Altra curiosità dell’arrivo: la richiesta della mia impronta digitale per cambiare la bellezza di 20 euro! Addirittura anche gli ATM (sportelli bancomat) hanno il vetrino dove bisogna appoggiare il pollice, altrimenti non sputano fuori i soldi. Poi via, prendo un taxi che velocissimo sfreccia fra grattacieli e baracche. E anche qui scopro che gli autisti di taxi/pullman/mezzi pubblici hanno il piedino pesante. Se in Brasile, patria del fu Ayrton Senna e di Barrichello, pensano che avendo lo stesso sangue abbiano il diritto di correre come pazzi, qui rivendicano la stessa nazionalità di Juan Pablo Montoya, vero e proprio eroe nazionale che quindi va imitato ogni giorno.
Il secondo giorno visito l’interessante museo con la “Donacion Botero”, esposizione permanente di opere d’arte donate alla città da Fernando Botero, il più famoso artista colombiano contemporaneo. Oltre alle sue opere, tutte curiosamente raffiguranti soggetti “grassi”, comprende anche pregiati dipinti di artisti europei, quali Picasso, Mirò, Dalì, Monet, Renoir, De Chirico e tanti altri.
Sabato notte visita alla “Zona Rosa”, a Nord di Bogotà, alla ricerca di un locale dove si possa ascoltare e ballare Salsa, ballo qui molto popolare (che studio da diversi anni). Fuori diluvia, mi auguro quindi di trovarlo subito. Primo tentativo: locale famoso raccomandato dalla Lonely Planet: chiuso da 1 anno! Secondo tentativo: chiedo per strada e becco proprio un signore che stava distribuendo inviti per un locale dove si ascolta anche salsa (“anche”.... mmm..... che significa?). Lo seguo, e poco dopo mi ritrovo dentro un bordello! E mi tocca pure ordinare una consumazione obbligatoria. Me la cavo con una veloce birretta che, circondato da una decina di succinte fanciulle, mi scolo rapidamente per poi cambiare aria. Terzo tentativo: vado ad orecchio, e giungo davanti ad un enorme locale dove c’è un concerto dal vivo di salsa. Ma non mi fanno entrare! “Solo en pareja, señor”, cioè solo ingresso in coppia. GRUNT! UFF! ACC!! Inizio a stufarmi, e aggiungendo il fatto che non smette di piovere, inizio a pensare di tornarmene in hotel. Ma ecco che..... Quarto tentativo. Provo ad entrare in un ultimo locale e qui finalmente trovo ciò che cerco. C’è un formidabile sestetto (basso, chitarra, percussioni, tastiera, tromba e voce, e saltuariamente anche maracas e clave) che suona salsa dal vivo, e si balla pure! Bravissimi i musicisti, colombiani (Aristas è il nome del gruppo), ed il cantante è un anziano uomo di colore in abito, con il cappello bianco a falde larghe stile Compay Segundo.
CALI Spostamento in autobus (10 ore) a Cali, 3^ città del paese, nel sud-ovest, regione “Valle del Cauca”. Quest’ultima è una delle zone dove viene segnalata la presenza della guerriglia e dei paramilitari, e infatti in strada si nota la sempre più massiccia presenza di militari dell’esercito, in mimetica e con mitra in mano. Nelle zone montane addirittura si incontra un militare di guardia ogni 100-200 mt.
A questo punto è doveroso aprire una parentesi sulla situazione politica colombiana, se si vuole capire meglio cosa succede in questo paese da quasi mezzo secolo. Per descrivere il colore della sabbia del mare c’è sempre tempo. Fra i gruppi guerriglieri presenti, i maggiori (con un totale di 25.000 unità) sono le F.A.R.C. (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia), nate dal Partito Comunista Colombiano e inizialmente sostenute dalla Russia, e l’E.L.N. (Ejercito de Liberacion Nacional), filocubani. Perso l’appoggio di Mosca e Cuba, i guerriglieri oggi si finanziano con le rapine, i sequestri e i taglieggiamenti ai produttori di droga, perdendo per strada anche i primi ideali politici e di conseguenza anche l’appoggio della popolazione. A loro si contrappongono l’Esercito regolare dello Stato ma anche i sanguinosi paramilitari (A.U.C.- Autodefensas Unidas de Colombia), esercito privato orientato a destra, che può contare sull’appoggio non sempre nascosto dell’esercito regolare. Spesso vengono proprio usati da questi ultimi per i lavori più scomodi. Sono responsabili di orrendi massacri di civili sospettati di collusione con i guerriglieri. L’attuale Presidente (filoamericano) Alvaro Uribe Velez si vanta di aver reso più sicuro il paese ma la sua azione si è limitata a militarizzare il territorio, senza cercare minimamente di eliminare le cause che, da quasi 50 anni, hanno creato una vera e propria guerra civile. Qualche cifra. Ogni anno: 30.000 omicidi, più di 3.000 sequestri (fra i quali anche stranieri), quasi 200.000 “desplazados”, cioè contadini e indios costretti ad abbandonare le proprie terre devastate dalla guerra. E in tutto questo la droga, che è la prima cosa alla quale si pensa quando si sente nominare la Colombia, non c’entra granchè. La prima grande causa del conflitto è la profonda ingiustizia sociale presente quasi in ogni settore della società colombiana. Alcuni giorni fa ho fatto un interessante chiacchierata con un caleño (abitante di Cali), laureato in Ingegneria Agraria. Ora è disoccupato, ma la sua famiglia ha diversi ettari di terra vicino alla città. Terra fertilissima, che per il clima che c’è qui può avere raccolti tutto l’anno. Il suo sogno è avviare un’impresa agraria sulla sua terra, coltivandola intensamente. Mi dice però che l’unico problema è il fatto che il terreno si trova proprio in mezzo a due grandi latifondi i cui proprietari, se solo si azzarda a coltivare più dei quattro pomodori e lattughe che ora coltiva la sua famiglia, non tarderebbero a piazzargli una pallottola in testa. “Aquí’ funciona asì ”, mi dice. È già tanto che gli abbiano ancora lasciato la proprietà di quel terreno. Che la guerra civile e il narcotraffico continuino fa comodo a molti. Fa comodo al Governo che si serve spesso dei paramilitari per eliminare personaggi scomodi come oppositori politici, sindacalisti e giornalisti. Tant’è che le statistiche attribuiscono l’80% delle violazioni dei diritti umani ai paramilitari e solo il 20% ai gruppi guerriglieri. Dall’’86 al ’90, nella sola Bogotà, furono assassinati 1500 fra attivisti e dirigenti del Partito Comunista e dell’Union Patriotica, i due partiti di sinistra. Fu annientata completamente, anzi “seppellita”, tutta l’opposizione democratica. Fa comodo agli USA, per i quali la ipocrita “lotta al narcotraffico” è la maschera che viene usata per la loro politica commerciale e di dominio sul territorio. Il petrolio colombiano viene estratto dalle multinazionali americane e inviato al loro paese pagando un prezzo bassissimo allo stato colombiano. E lo stesso succede per i ricchi giacimenti di pietre preziose. In cambio gli USA forniscono anche armi e addestramento militare all’esercito, in modo che possa difendere i loro stabilimenti. Droga, petrolio, armi, potere. Alla fine le guerre vengono alimentate sempre dagli stessi elementi. Per la cronaca, la Colombia è l’unico paese Sud-Americano che ha appoggiato gli Usa nella guerra all’Iraq. (*) Chiusa parentesi.
Anche questo autobus è guidato dal solito pazzo, pur se stiamo scendendo dai 2.600 mt di Bogotà. Mi colpisce soprattutto il fatto che quando la strada è libera vada ad andatura abbastanza normale ma appena abbiamo davanti un’auto o, peggio ancora, un altro bus o un tir, arrivi immediatamente l’istinto pluriomicida, con sorpassi che fanno trattenere il respiro (e pregare). Il bus è pieno. A fianco a me ci son due simpatici bambini seduti uno sopra l’altro, e nei due sedili dall’altra parte c’è la madre con altri due bambini in braccio, più un altro passeggero sepolto dietro. I bravi bambini naturalmente salgono sul pullman con bottigliette di aranciata, patatine e pasticci vari che ingurgitano rapidamente nei primi minuti. Appena Battista l’autista prende coscienza di avere sotto il sedere un pullman con più di 50 persone e inizia così a correre sui tornanti mozzafiato delle Ande, i bravi bambini iniziano, a volte a turno e a volte tutti insieme, a vomitare nella loro bella bustina gentilmente distribuita da Battista poco prima. Talvolta però lo stimolo gli giunge così rapido che non fanno in tempo a centrare la bustina, cosa che capita anche al bambino a fianco a me e proprio nell’esatto momento in cui gli viene anche la tosse. Come risultato mi fa la doccia di vomito nella gamba destra, ma per non farlo sentire ancor di più a disagio non mi pulisco subito e lascio così seccare sui pantaloni quei bei pois gialli di patatine/aranciata/succo gastrico. La madre, non facendo più in tempo a pulirne uno che subito iniziava l’altro, scoppia a piangere. Arriva provvidenziale una sosta in un bar, che permette all’allegra famigliola di ricomporsi e al sottoscritto di prendere una boccata d’aria fresca e meno acida. Poi ci facciamo qualche foto tutti insieme e tutto passa (infatti alla fermata successiva ricomprano le patatine!).
A Cali, nella Guest House dove alloggio, ci sono ragazzi Israeliani, Inglesi, Australiani, Americani, Tedeschi e un italiano. Una sera incontro quest’ultimo nella reception e parliamo un po’ di viaggi. Dopo un po’ mi fa: “Io ti conosco... tu sei Pietro della Sardegna”. “GULP! E tu come lo sai???!” Pensandoci bene capisco tutto. Un anno fa avevamo dialogato in internet su un NewsGroup di viaggi, senza però conoscere mai i nostri nomi reali. Lo dico sempre io, il mondo è troppo piccolo!
Cali è considerata la capitale colombiana della Salsa, e questo è il motivo principale della mia visita. Capito però proprio nella “Semana Santa”, dove in Colombia si sta chiusi in famiglia e non si esce. Chiudono anche i locali notturni, compresi quelli salseri. Mi tocca quindi aspettare il fine settimana, quando tutto riapre.
Sera successiva fra italiani, con l’altro italiano dell’hotel e il Dj Francesco, milanese, che dopo un anno in giro per il Sud-America si è stabilito qui a Cali dove ha aperto una boutique di abbigliamento, insieme alla ragazza colombiana che gli disegna i vestiti. Ci fa conoscere un po’ di locali della città dove non c’è l’ombra di altri turisti. Ma l’appuntamento clou (per me) è il sabato notte, quando riaprono le discoteche di salsa. Sabato dovrebbe esserci anche la “Chiva”, un pulmino colorato che, con un’orchestrina di musica (salsa!) dal vivo, scarrozza un gruppo di passeggeri per la città, con tanto di pista da ballo, spuntino e bottiglia di Aguardiente compresa! Ma, dopo varie ricerche, mi dicono che oggi la Chiva non parte perchè è la “Semana Santa” e non c’è un gruppo di persone sufficiente. Ad ogni modo mi reco ugualmente al punto della partenza, previsto per le 20 ma, dopo un’ora di attesa, di Chiva non se ne vede neanche l’ombra. Alle 20:00 e 1 secondo alzo i tacchi e me ne vado (e per di più piove!). Mi rifugio in un bar del centro e mi rincuoro con una bottiglietta di “Club Colombia”, birra locale. E siccome una non basta a farmi dimenticare la “Chiva” persa dopo averla aspettata per una settimana, ne aggiungo ben presto altre 3. Ed ecco che, nel bar, alcune coppie iniziano a ballare (sempre salsa) e dopo un po’ la pista si anima. Invito una ragazza a ballare e, anche se qui ballano una salsa completamente diversa da quella da me studiata, mi accontento. “Tanto la Chiva è persa ormai”, penso spesso. Conosco così Liliana e una sua amica, due studentesse di Bogotà, e poco dopo arrivano tre loro amici brasiliani. Il gruppo cresce rapidamente e decidiamo di spostarci in un altro locale. Appena usciamo dal bar... cosa passa in strada? Una Chiva allegra e festante, con tanta gente che balla dentro!!! Grunt! Siccome i brasiliani chiaramente non ballano salsa, finiamo in una discoteca con musica techno, e per di più poco prima di entrare fa irruzione la polizia. Tutti, faccia al muro e mani in alto, veniamo perquisiti accuratamente. All’interno della disco, i brasiliani decidono di comprare una bottiglia di rum che, aggiunto alla mia precedente birra, fanno alzare eccessivamente il mio tasso alcolico del sangue. Stufo della techno, decido di andare a Juanchito, un quartiere periferico dove sono raggruppate le più importanti discoteche di salsa. Prendo il taxi e, dopo una quindicina di minuti, arrivo a Juanchito, riaperto solo oggi dopo la settimana di riposo. Sono le 3 di notte ed è pieno di gente da tutte le parti, luci, musica, una baraonda generale. Ma mi accorgo solo ora di aver finito i soldi, ne ho a malapena per pagare il taxi. E poi come ritorno? UFF! A malincuore faccio fare dietro-front al taxi e mi faccio riaccompagnare in hotel a prendere le carte di credito, e poi mi avvicino ad alcuni ATM. Ma, complice l’alcool, sbaglio digitando i codici pin e mi si bloccano tutte e 2 le carte. Ho aspettato la notte salsera tutta la settimana e sono ora costretto a rientrare in hotel perchè non ho più un soldo. Oggi è la notte di Pasqua. È incredibile come a volte gli eventi si ripetano. Esattamente un anno fa, la notte di Pasqua, un episodio analogo mi capitò in Venezuela dove, rimasto senza soldi, dovetti dormire su una panchina di un’inquietante stazione di autobus in quanto nessun hotel mi volle fare credito. Rientrando in hotel, il solito trans presente al solito angolo dell’hotel mi elenca come di consueto tutte le sue virtù e arti varie ma questa volta, anzichè ignorarlo, lo zittisco dicendogli che non ho più soldi e, per dimostrarglielo, gli regalo gli ultimi 2000 pesos che ho in tasca. Così ora non ho più davvero un soldo. Domani ci penserò! Lui (o lei) mi guarda perplesso e se ne va. Senza soldi qui non si è nessuno neanche per i trans!
Domenica (ragionando meglio) risolvo tutto telefonando a Milano. E per di più vengo a sapere che Juanchito apre anche oggi! Wow! Così domenica notte, con le tasche strapiene di pesos, ritorno a Juanchito dove finalmente riesco a poggiare piede.
Prima discoteca, la più esclusiva (e che proprio per questo mi attira di meno): Changò. Due perquisizioni di seguito all’ingresso. “Ma perchè?” gli chiedo inutilmente. Dimenticavo che a Bogotà, per esempio, la percentuale di armi illegali presenti è una ogni 7 abitanti, e credo che qui a Cali non saranno da meno. L’altro giorno ho visto in un locale un cartello con scritto “È vietato entrare con armi, grazie”, come da noi si scrive “È vietato fumare” o “Vietato entrare con cani”. Dentro è tutto lussuosissimo. Uomini in giacca e cravatta e donne in abito da sera e tacchi. Due piste da ballo e ottima musica. Osservo un po’ tutto e dopo cinque minuti me ne vado. Prima di uscire entro un attimo in bagno. Mi sciacquo le mani e mi accorgo che c’è un cameriere nero, con camicia e denti bianchi e papillon nero, che strappa i fogli di carta dal rotolo e li porge per asciugarsi le mani, cantando a squarciagola la salsa che si sta ballando in pista. Non oso entrare al cesso per il timore di trovarci un altro cameriere che mi porge la carta igienica!
Seconda discoteca: Agapito. Questa mi dicono che è più popolare e mi attira di più. E infatti dentro tavoli e sedie sono in plastica, c’è una sola pista, molte meno luci. Ma si entra in coppia e, anche se mi fanno passare, ci sono solo coppie dentro. Una delle prime cose che mi hanno consigliato in tanti è di non ballare mai con una ragazza se è presente il ragazzo nel locale. È molto pericoloso in Colombia. Una birretta e via in un altro locale.
Terza discoteca: Senegal. Non capivo perchè questa me la consigliassero soprattutto i ragazzi. Dopo che entro lo capisco. Alternato a salsa e merengue c’è ogni tanto qualche spogliarello femminile. Altra birretta e me ne rientro, domani devo partire presto. Juanchito l’ho visto, non ho altro da fare qui.
Adiòs, Cali.
Il viaggio prosegue a MEDELLIN
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