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Lug62007

AUTOSTOP IN NUOVA ZELANDA

I primi giorni in Nuova Zelanda son stati un po’ traumatici. Dopo tanti mesi in Brasile non mi sembra vero non esserci più. E tutto poi qui è così diverso. Oltre la lingua, il clima (qui è inverno), la gente (più fredda), le case (più moderne), le auto (più costose), le strade (senza buchi), l’ostello. Quest’ultimo è perfetto. Inserito fra 3 o 4 grattacieli luccicanti, pulito, impianto antincendio in ogni stanza, porte sbarrafuoco ma, anche, una marea di divieti: non fumare, non mangiare in stanza, non bere, non urlare, non suonare, non lasciare i piatti sporchi, non fare questo, non fare quello, questo no e quell’altro pure no. Ben diverso dalla generale anarchia sudamericana!
Scopro che in Nuova Zelanda (ed anche in Australia) è strettamente vietato bere alcolici per strada. Si può solo nei bar, minori esclusi, in caso contrario multe altissime. Un giorno una brasiliana che ho conosciuto in ostello (per fortuna ci sono anche qui!) mi ha detto che in un bar di Auckland dove era entrata hanno scoperto che era minorenne. Il titolare allora ha chiamato la polizia la quale le ha fatto una foto che poi ha inviato a tutti i locali pubblici della città, segnalando il fatto che era minorenne e che quindi non doveva essere lasciata entrare nei bar. Neanche fosse un serial killer!
Tanto diverse le persone, generalmente molto meno socievoli dei sudamericani, pur se sempre cordiali e gentili. Più di una volta, per strada, mi è capitato che qualcuno, vedendomi con la cartina della città in mano, mi chiedesse se avessi bisogno d’aiuto.
Estrema gentilezza, estrema correttezza, ma non di più, così si può sintetizzare l’atteggiamento dei neozelandesi.

Auckland, nord della Nuova Zelanda, prima tappa. Città ultra-moderna e cosmopolita. Molte facce asiatiche, tanti giapponesi, molti polinesiani. Mi fermo quattro giorni e poi inizio la discesa verso il Sud. In Autostop.

Vista di Auckland dalla Sky Tower

Vista di Auckland dalla Sky Tower

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AUTOSTOP

Anche la Lonely Planet cita l’autostop, e spiega anche i punti migliori dal quale conviene farlo.
Da Auckland mi reco così, in bus, nel primo paesino fuori dalla città. L’autista, meravigliato della mia destinazione, mi chiede che ci vado a fare a Mercer, quel paesino dove non scende mai nessuno. “Ho un amico che vive qui”, gli dico, mentendo spudoratamente.
Un centinaio di metri a piedi fino all’autostrada e… via! Pollice su.

Devo dire che all’inizio mi sento un po’ un deficiente, anche perché l’ultima volta che l’ho fatto sarà una ventina di anni fa. Ma, d’altronde, c’è una bellissima giornata, il sole risplende, c’è un rilassante laghetto davanti, le colline sono verdissime e mi ascolto anche un po’ di salsa con il lettore mp3. Tutto ok, quindi.
20 minuti e si ferma la prima auto, anche se mi lascia pochi chilometri dopo. E così via, con altre 3 tappe, arrivo a Rotorua quando il sole sta tramontando. Quando inizia a fare buio le probabilità di essere presi calano rapidamente. Il buio crea incertezza. Così non mi resta che cercare un alloggio per passare la notte e ripartire poi il giorno dopo. Si perché qui, pur se località famosa, non ho molto da fare. Le attrazioni di Rotorua sono: 1) acque termali sulfuree… che mi frega? Ci sono anche in Italia; 2) visita al centro Maori per assistere ai balli e canti dei Maori…. mi sa di falso e turistico; 3) Zorba, una grande palla di gomma dove ci si infila dentro e si rotola…. ???
Ok, contando che ognuna di queste “attrazioni” mi costa quanto un intero budget giornaliero, decido di ripartire la mattina dopo.
Sveglia, doccia, anche un po’ di profumo, vado all’appuntamento con una signora: la strada.
In fin dei conti con l’autostop si risparmia ma non poi così tanto, le distanze non sono enormi. E’ come andare da Milano a Palermo. Non conosco esattamente il costo dell’autobus, ma sarà intorno ai 200 NZ$ (120 €). Ma l’esperienza in se stessa è ottima, prove tecniche di vagabondaggio! 🙂 Si passano diverse ore a stretto contatto con gente del posto, gente comune, e si parla così su argomenti di normale quotidianità, sulla vita di tutti i giorni, tanti aspetti di vita che in un museo non si potrebbero mai trovare.

Autostop in Nuova Zelanda

Autostop in Nuova Zelanda

Ripartendo da Rotorua stabilisco il mio record personale di autostop: 4 minuti di attesa! E per di più quest’auto va fino a Wellington, alla fine dell’isola di Nord, dove avevo intenzione di fermarmi qualche giorno. 480 km, 6 ore di viaggio.
Il tipo che mi prende è un po’ strano, ha qualche problema fisico. Quando mi affaccio al finestrino per parlarci non gira la testa, ma solo gli occhi, come un camaleonte. Forse ha il torcicollo, penso. Partiamo, e qualche ora dopo ci fermiamo per una pausa caffé. Quando scende dall’auto rimane con la stessa posizione di quando era seduto, cioè con la schiena piegata a 90°! Al bar ci potrei appoggiare il bicchiere di caffé sulla sua schiena perfettamente piegata. 😀 A parte questo, è una persona molto interessante e colta, e molto informata su tante cose. E’ un predicatore (o pastore) protestante, che mi spiega tanti aspetti del suo paese, alcuni molto interessanti. Per esempio, siccome da questi primi giorni in Nuova Zelanda il paese mi sembra molto sicuro e tranquillo, gli chiedo se ci sono molti problemi di criminalità. Mi dice (come ho già scritto nel precedente post) che ci son circa 60 omicidi l’anno, per la maggior parte ad Auckland, la città più grande. Mi viene subito da pensare a Rio, dove ce ne sono 20 al giorno! Il sud è tranquillissimo, la polizia non ha un granché da fare.

Bellissimi gli scenari che attraversiamo in quelle 6 ore di viaggio. Si passa dai vasti prati verdi con tante palline bianche in mezzo (pecore, 40 milioni in tutto il paese, e 4 milioni di abitanti), agli alti boschi di abeti e pini, dalle montagne secche senza neanche una pianta ai laghetti fra i monti.

Boschi in Nuova Zelanda

Boschi in Nuova Zelanda

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Wellington: una serata italiana

Stanco di mangiar solo panini, una sera a Wellington vado in centro alla ricerca di una pizzeria, meglio se italiana. Dopo un po’ di giri scorgo un cartello che indica un vicolo buio e mi infilo così in una mini-pizzeria d’asporto. Il pizzaiolo è italiano, di Napoli, e vive qui da 10 anni. Dentro c’è, seduto ad un tavolo, un pugliese, che fa il cuoco in un ristorante. Poi entra un ragazzo di Napoli, che lavora in uno studio cinematografico di effetti speciali. Dopo un po’ arriva il fattorino della pizzeria, un ragazzo di Bologna. Infine entra un’altra italiana, una ragazza che insegna italiano all’università.
Finora in Nuova Zelanda non avevo incontrato neanche un italiano, ora in un colpo solo siamo in 6. E tutti per caso, anche gli altri non si conoscono fra loro. Era da quando ero in barca sul Rio delle Amazzoni che non parlavo italiano con qualcuno, e ogni tanto fa piacere.
W l’Italia e W la pizza, che unisce gli italiani! 🙂
Qui visito il più importante museo neozelandese, il TePapa Museum, ma devo dire che ne ho visto di più interessanti.

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Il Sud

Da Wellington traghetto simil-Tirrenia (per dimensioni, non per igiene) fino a Picton, dove mi fermo una notte, e poi via di nuovo con il pollice in su. Qui mi prende in auto una signora molto simpatica, appassionata di musica italiana, che appena sa che sono italiano si ferma, apre il cofano, prende una cassetta dove ha alcune canzoni italiane e la mette nell’autoradio. Che musica potrebbe essere? Come sempre accade quando si sente musica italiana all’estero, si tratta di canzoni si Sanremo di almeno 20 anni fa. Faccio finta di gradire la musica, sperando si rompa l’autoradio al più presto. Poco dopo, altra auto, questa volta diretta fino a Christchurch, 330 km e 5 ore dopo. E’ una ragazza con un grande fuoristrada che sta andando a sciare nelle Alpi.

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Christchurch

Se nell’isola di Nord, anche se inverno, non faceva molto freddo, qui a sud invece si sente. Ci sono 12° di giorno e la notte siamo poco sopra lo zero. Nonostante ciò, spesso la sera si vedono in giro ragazzi con magliette a maniche corte e ragazze con canottiere estive. Ma come fanno?
Christchurch, dicono gli opuscoli (dalla Nuova Zelanda in poi niente più Lonely Planet, se non saltuariamente scroccata da qualcuno), è la città più inglese della Nuova Zelanda. Prima di scoprire perché, me ne accorgo quando vado in bagno: è l’unica località della Nuova Zelanda dove trovo i rubinetti separati, come in Inghilterra. In uno acqua ghiacciata e nell’altro bollente. Chi mi sa spiegare perché, ancora adesso nel terzo millennio, in Inghilterra non usano i miscelatori?
In compenso scopro qui perché gli autobus cittadini sono sempre puntuali, spaccano il minuto. Addirittura nelle fermate principali c’è un display con il countdown dei minuti che mancano all’arrivo dell’autobus. Un autista mi spiega che ogni autobus è fornito di GPS (ricevitore satellitare)! Se è in anticipo viene chiamato dalla centrale e si deve fermare per lasciar passare il tempo. E se è in ritardo?”, gli chiedo. “Non deve succedere mai”, risponde. Neanche in Svizzera (credo) sono così precisi!
Niente di particolare da segnalare neanche qui, andiamo all’ultima tappa, Queenstown. Qui ci arrivo… in autobus! Si, alla fine getto la spugna e non riesco a finire il mio programma, attraversare tutta la Nuova Zelanda in autostop. A Christchurch un giorno aspetto più di due ore in strada e alla fine ritorno in ostello, è tardi ormai per arrivare fin giù. Però devo dire che ero in un punto non buono, alla periferia della città ma non completamente fuori, dove è sempre meglio farlo. Va bè, in ogni modo ho percorso 1000 km esatti in autostop, da Auckland a Wellington e da Picton a Christchurch. Non sono pochi.
Curiosità: le macchine nuove e più costose non si fermano mai, quelle più vecchie si. Ulteriore conferma che la ricchezza crea chiusura sociale e diffidenza verso gli altri. Il Brasile insegna.

Ecco il secondo gruppo di foto dalla Nuova Zelanda.

FOTO (43)

(Fra qualche giorno la terza e ultima parte sulla Nuova Zelanda. Ciao!)

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Lug12007

AUCKLAND: la salsa cosmopolita

Venerdì scorso qui ad Auckland sono andato a ballare al Mexico Cafè, uno dei locali salseri della città, in pieno centro. Il locale non è grande ed è diviso in due parti. Io son finito in una zona dove c’erano tanti ballerini/e, ma tutti…. ehm, molto scarsi. Non ce n’era uno che andava, non dico a tempo, ma almeno un po’! Ballavano un abbozzo di salsa cubana. Era evidente che ballavano da poco tempo.

Osservo un po’ tutto e poi decido di andarmene. Attraverso così il locale per uscire e invece scopro un’altra pista dove….  😮 urca!! Qui ci sono ballerini/e molto bravi! E tutti ballano Los Angeles style e New York style.

Ma ora viene la sorpresa (per me).

Invito una ballerina, bravina ma non troppo: cinese. Ne invito un’altra, più brava: Malesia. Via la terza: Giappone. Seguono 3 o 4 ragazze “Kiwi”, cioè Neozelandesi. Dopo un po’ conosco anche i loro maestri, uno è un ragazzo di Taiwan molto simpatico, l’altro peruviano (www.saocodance.com) che invece se la tira un po’.
Domenica replico, altro locale, e qui ballo con una filippina, una russa alta (sembra una modella!), altra giapo e così via. Vicino a me c’è un ragazzo indiano che balla benissimo, e a lato un ragazzo coreano.

Conclusioni: la salsa ormai è cosmopolita! A Roma come a Londra, a New York come a Sidney o a Pechino, Tokyo, Kuala Lumpur etc è possibile trovare locali dove si balla salsa, e ballare così con persone anche molto diverse da noi (razza, lingua, cultura, religione, maestro di ballo :-D).
E, sembra strano, ma la salsa che ballo io (portoricana e New York style) si può ballare dappertutto nel mondo tranne che in America Latina (esclusa Argentina dove è possibile), dove la salsa è nata.

E ora arriva il consiglio per chi balla salsa.

Quando andrete in giro per il mondo per turismo, lavoro, amori, etc, date uno sguardo a questo sito:

http:// cityguides.salsaweb. com/

sito consigliatomi tempo fa da Pedro Gomez in persona (www.pedrogomez.it). Non è aggiornatissimo perchè questo genere di locali variano spesso, ma almeno uno ogni 3 locali citati è attendibile.

Buona salsa a tutti! 🙂

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Giu292007

NUOVA ZELANDA – La perfezione

Sono in Nuova Zelanda, dall’altra parte del mondo. Sono a testa in giù rispetto a voi, ma il sangue non mi va in testa. 😀

La Nuova Zelanda è infatti il paese agli esatti antipodi dell’Italia. Non c’è luogo più lontano, nella terra, dove un italiano possa andare. Per andare più lontano l’unico modo è sborsare qualche migliaio di miliardi e salire sullo Shuttle. Fra l’altro ha quasi la stessa superficie dell’Italia, e ci sono pure le Alpi. C’è però una (fra le tante) grossa differenza: ha solo quattro milioni di abitanti, contro i nostri quasi sessanta. C’è quindi molto spazio qui, e proprio gli spazi della natura, le valli, i laghi, le montagne costituiscono l’attrazione principale di questo paese. Talmente belli che ci hanno girato alcuni film importanti, come Il Signore Degli Anelli.
Sarà forse per i pochi abitanti, ma si sente poco parlare della Nuova Zelanda, per cui quando in passato pensavo a questo paese mi venivano in mente i Maori (i primi suoi abitanti, ancora presenti) e le regate della Coppa America, ad Auckland. E quindi, escludendo quest’ultima città, avevo un’idea della Nuova Zelanda come di una terra selvaggia e semideserta.

E invece…. tutto qui è perfetto, pulito, ordinato e soprattutto efficiente. Sono alla ricerca di almeno un difetto, che ancora non ho trovato. Palazzi moderni, strade perfette (senza un fosso o un solo avallamento), auto tutte nuove (le vecchie sono rarissime), negozi con la merce sempre in perfetto ordine, persone cordiali nonostante la loro natura anglosassone. E poi bagni pubblici dappertutto, anche per strada fra un negozio e l’altro, sempre riforniti di carta e sapone. Sembra una banalità, ma andate a cercarlo in Italia un bagno pubblico fornito di tutto. Anzi, andate a cercare un bagno pubblico. E per di più sono sempre puliti, anche per terra. Forse gli uomini qui fanno la pipì con l’imbuto. Oppure, come credo, li puliscono spesso.
E poi boschi e prati verdi dappertutto, parchi con piante sempre in ordine. Addirittura, da Auckland verso Sud, ai bordi della strada l’erba era ben rasata dappertutto, e gli alberi avevano sempre i rami bassi tagliati (credo per prevenire gli incendi d’estate).
Ancora: 60 omicidi l’anno, quanti a Rio in tre giorni, quanti in Italia in un mese. Un’alta immigrazione, soprattutto asiatica. Perché tutti trovano lavoro. Anche i vari cartelli e avvisi nell’ostello, quelli che si attaccano sempre in disordine, qui sono così: foglio A4, ben stampato con il pc, plastificato e attaccato dritto, equidistante dagli altri.
Ed essendo italiano, e per di più arrivando qui dopo sei mesi di Sud America, mi sembra tutto surreale. Ma un difetto glielo troverò, prima o poi!

Bene, in mezzo a tanta perfezione, dopo quattro giorni ad Auckland, la città più grande, sono partito verso il sud… in autostop! Nonostante sembri una cosa fuori dalle regole è questo, insieme all’Australia, il paese al mondo dove è più facile farlo e non è malvisto. Dai venti minuti di attesa vicino alla capitale, il punto più difficile, fino ai quattro minuti per l’ultimo tratto dell’isola di Nord.
E domani continuo nell’isola di Sud!

Ciao!

Ecco le foto di Auckland

FOTO AUCKLAND (27)

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Giu272007

IL 180° MERIDIANO E L’ANNO GUADAGNATO

Volando dal sud America verso l’Oceania si attraversa l’oceano Pacifico e si oltrepassa quella linea immaginaria del nostro pianeta che è il 180° meridiano, all’esatto opposto di quello zero di Greenwich (Londra), e meglio conosciuto come la linea del cambio di data. Qui si spostano le lancette dell’orologio di 24 ore in avanti e si viene così a perdere un giorno intero. Si va in pratica avanti nel tempo, nel futuro. Ancora più intrigante forse la rotta inversa, perché si guadagna un giorno e si va quindi indietro nel tempo. Parti oggi e arrivi ieri.

Niente di magico comunque, qui in pratica si scontano tutti i fusi orari oltrepassati in precedenza, quando si erano guadagnate (o perse) ore. Per esempio quando si va dall’Europa verso le Americhe, all’arrivo bisogna spostare le lancette dell’orologio indietro, guadagnando così diverse ore. Altrettanto farò dopo quando, dalla Nuova Zelanda, mi sposterò in Australia, Asia ed Europa: ogni volta via a spostare le lancette indietro.

Queste ore però non sono regalate e, prima o poi, le devo scontare!

Mi è capitato così di partire dal Cile il 23 maggio sera e arrivare in Nuova Zelanda la mattina dopo, 25 maggio. Il 24 l’ho perso completamente. Via, sciò, pussa via. Nel mio calendarietto del 2007 devo fare un buco nel 24 maggio.

C’è però un particolare da ricordare: il 24 maggio era…. il mio compleanno! 😮

Eh eh, niente compleanno, niente auguri, niente cambio di età.
Il giro del mondo mi ha regalato un anno in più! 😀

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Giu252007

PRIMI 6 MESI

15900 km in autobus (e traghetto) da Buenos Aires fin su a Caracas. Tutto via terra e acqua, niente voli.

6 mesi esatti, più una proroga di una settimana, i tempi supplementari di una stagione che avrei voluto prolungare ancora un bel po’.
Prima di iniziare questo viaggio non mi aspettavo più di tanto da questo continente, in quanto ci son già stato diverse volte e quindi pensavo ormai non tanto ricco di novità. E invece mi son dovuto ricredere, e tanto pure!

Parlo principalmente del Brasile, paese in cui son rimasto ben 5 dei 6 mesi riservati al sud America. E la differenza rispetto alle altre due volte in cui ci son stato è dovuta principalmente ad un fattore: la conoscenza della lingua. Lo starci tanto tempo mi ha permesso di imparare il portoghese il tanto sufficiente per poter parlare anche a lungo con la gente, venendo in questo modo a conoscere la realtà del paese e il carattere della sua gente più di quanto una guida di viaggio mi abbia potuto illustrare.
Se non avessi conosciuto il portoghese non avrei potuto parlare con quel ragazzo che incontrai per strada a Salvador, che mi raccontò dei suoi due anni nella ricca Europa (Francia) e di come poi ci rinunciò per tornare in Brasile nel suo quartiere povero. La gente e la vita era troppo diversa per lui e mi spiegò cosa era diverso.
Non avrei neanche potuto parlare con i bambini dei due centri di accoglienza visitati, conoscere tante persone con cui uscire a Sao Luis, ascoltare la storia di Nazarè, capire le notizie dei quotidiani e tv, comprendere gli stati d’animo e il carattere dei tanti brasiliani conosciuti. Avrei fatto un viaggio simile ai tanti ragazzi anglosassoni incontrati, fatti di tante tappe ma brevi nelle località più belle (e turistiche), con pochi o nulla contatti con la popolazione locale. Per loro è impossibile imparare una lingua latina senza frequentare un corso di lingua, cosa che per noi italiani invece è fattibile, e quindi alla fine i commenti che sentivo da loro sul viaggio riguardavano solo la pericolosità di Rio o il bel sedere delle brasiliane, la precarietà dei servizi o la bellezza di alcune spiagge. Tutte verissime queste cose, ma il Brasile ha molto di più da offrire, se si vuole andare a guardare bene.

E una delle cose che più mi ha colpito è la grande gioia di vivere dei brasiliani. Sembra una cosa banale questa, a chi non piace vivere? Eppure in nessun altro continente ho riscontrato la stessa intensità e calore dei rapporti umani, sia fra grandi amici che fra perfetti sconosciuti, sia al posto di lavoro che in mezzo ad una festa. E allo stesso tempo la grande serenità che traspare dai loro volti, che si coglie non solo parlandoci ma anche osservando la gente che passa in strada, che si incontra negli autobus o che si ferma per chiedere un’informazione. E avere intorno a sé persone con l’espressione serena se non allegra, comunque sempre cordiale, costituisce una bella differenza rispetto alle persone/espressioni/umori che si incontrano e percepiscono nel nostro BelPaese. Così che anche senza far niente di particolare, spesso bastava una semplice passeggiata per strada, fra la gente, per passare ore piacevoli.

6 mesi di calda estate sono così finiti, e ora vado verso poco più di un mese d’inverno.

D’altro canto ora posso finalmente “abbassare la guardia”, vado in zone super-tranquille. Se è vero che nulla di particolare mi è capitato finora, è certo che in sud America bisogna sempre prestare particolare attenzione a tutto e non dimenticare mai le precauzioni di base.

6 mesi ricchi di emozioni, 6 mesi importanti, 6 mesi indimenticabili.

Grazie, sud America. Grazie, Brasile. Son sicuro che mi mancherete tanto.

sopra le nuvole

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Giu202007

WEEK-END IN VENEZUELA + CILE

Venezuela! Entrando dal Brasile mi lascia la stessa impressione che mi lasciò due anni fa entrando dalla Colombia (vedere qui): maggior arretratezza generale (case, auto, strade, strutture e servizi in generale). Nonostante non sia uno stato povero (quinto produttore mondiale di petrolio, e negli ultimi tre anni il prezzo del barile è più che raddoppiato), non si può dire che si veda molta ricchezza in giro.
Altro aspetto che si nota subito: la rudezza dei venezuelani. Non si perdono certo in sorrisi come i brasiliani o nella simpatica gentilezza dei colombiani.
E poi via con i posti di blocco. Nelle prime ore di viaggio il pullman viene fermato da 6 o 7 posti di blocco di militari armati fino ai denti. Controllano i documenti a tutti, con l’aria da duri, guardandoti come se fossi un pericoloso delinquente. Senza motivo peraltro, non capisco il perché di tanta militarizzazione. Fossi in Colombia lo capirei, ma qui proprio no.
Ma se non altro il sottofondo musicale, se in Brasile aveva un livello comunque alto, qui raggiunge (per me) il top: è arrivata l’ora della salsa! 🙂

Dopo 22 ore di bus fino a Caracas, pausa di 8 ore e poi altre 12 fino a Merida, carina cittadina ai piedi delle Ande Venezuelane. Qui mi fermo solo i 3 giorni del week-end che passo con Yolanda, amica conosciuta nel mio primo viaggio qui (3 anni fa), e alcuni suoi amici.
Emozionante rivedere i luoghi, le vie, i bar, gli hotel in cui si è già stati, ma anche un po’ triste e meno interessante. Meglio sempre cambiare. D’altronde son venuto a Merida solo per incontrare la mia amica, per il resto non ho nulla da fare qui.

Dopo 3 anni i prezzi sono molto più alti, almeno il doppio (l’inflazione è molto alta in Venezuela) che però in parte si compensa con la svalutazione della moneta. Accidenti, dopo il Brasile anche il Venezuela ora! I costi del Sud America stanno aumentando anno dopo anno. Sbrigatevi a venirci chi ci deve venire, se no poi vi mangerete le mani a non averne approfittato. Dalla fine del 2001 le monete locali sono crollate nettamente rispetto al passato, iniziando dall’Argentina e poi a catena in Brasile e in quasi tutti gli altri paesi sudamericani. Ma ora si vedono già i primi cenni di ripresa.
Ultima osservazione da fare: esiste di nuovo il cambio nero, cioè si possono cambiare per strada (ma anche nelle agenzie di viaggio, hotels, taxi, etc) i dollari americani ad un tasso molto più conveniente della banca: per strada per 1 US$ danno 4.000 bolivares, anziché i 3.000 della banca (30% in più!). Cambiano anche gli euro, ma in proporzione danno di meno del dollaro (4.500 bolivares). Se si viene qui insomma conviene portarsi un gruzzoletto di dollari in contanti.

Lascio il Venezuela con un volo che fa scalo a Bogotà, prima di arrivare a Santiago del Cile. Ne approfitto per avvisare alcuni amici che ho in queste 2 città, in modo di cercare di incontrarci. Una delle (tante) cose belle del viaggiare è che poi si hanno contatti in diverse parti del mondo e a volte, come ora, ci si può incontrare anche nelle poche ore di uno scalo.
Se però l’incontro di Bogotà salta per un malinteso sulle date, quello di Santiago va in porto e incontro così Marcela e Danae, due belle amiche conosciute ad Arraial e con le quali passo la serata insieme, prima di salire sul volo che.… sigh sigh….. sniff sniff…… mi farà…… lasciare il Sud America!!!

UAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHH !!!!!   piangendo

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